Le quotazioni dei Machine Head, dopo il monumentale “Burn My Eyes”, sono sempre andate in calando. Rob Flynn e soci, ad essere sinceri, non hanno mai avuto vita facile: prime sono giunte le accuse d’immobilismo compositivo con “The More Things Change…”, poi le infezioni crossover di “The Burning Red” hanno fatto inorridire i thrasher della prima ora; con l’ultimo, controverso, “Supercharged”, si è addirittura messo in discussione il loro effettivo valore artistico.
Se la parabola creativa dei Machine Head è di certo sporcata da evidenti cadute di stile, le loro prestazioni sul palco sono sempre state di un’eccellenza assoluta.
“Hellalive”, primo disco dal vivo dei Machine Head, fotografa una band al massimo delle proprie capacità tecniche, sorretta da una sezione ritmica impressionante, da un muro di riff thrash post-panteriani semplicemente devastante e da un singer che on-stage si trasforma in un ribelle carico di frustrazione, rabbia, psicosi e carisma.
Che si tratti di brani ultra-estremi come “Ten Ton Hammer” o “Davidian”, piuttosto che di composizioni con più accenni alla melodia (“The Blood, The Sweet, The Tears”, “Crashing Around You”), il tiro dei Machine Head rimane folgorante, micidiale. Un suono tanto cristallino e nitido quanto ruvido e parossistico. Difficile chiedere di più ad un disco live.
Mi sento di sottolineare nuovamente la prestazione di Flynn, talvolta un po’ finto sciovinista con le grida e le esternazioni da cane di strada, ma sempre trascinante e convincete.
Dopo mesi e mesi di apparizioni nei magazines più per liti furibonde e poco intelligenti (storici ormai i duelli verbali con Ross Robinson e Kerry King) o per atteggiamenti da punksters fuori tempo massimo, i Machine Head tornano a far parlare di sé per meriti esclusivamente musicali. E fanno pure un’ottima figura.
Vincenzo “Third Eye” Vaccarella