A Quiet Land of Fear, nuovo lavoro e concept dei Demetra Sine Die, gruppo già operativo dal 2003, è un prodotto confezionato per un pubblico molto particolare e attento, il cosiddetto pubblico di un prog metal “di nicchia”. Un definizione per questo album? Intellettualmente oscuro. A partire dall’art work elegante ed essenziale, che fa spazio a testi decadenti e profondi , fa trovare in apertura persino una introduzione di Sir Wiiliam Blake da Songs of Innocence and Experience. Tutto ciò ci può far già carpire, insieme alle immagini e alla grafica, cosa ci presenterà il gruppo genovese per la BloodRock Records e distribuito dalla Black Widow.
L’album si apre con Red Sky of Sorrow, un pezzo dove un dark space rock ed utilizzo di synth accompagna la scandita ed intrigante voce narratrice di Silvia Sassola, per farla poi incontrare con quella di Paddeu che, come in una nenia straziante, sfocia in acrobazie prog alleggerite da tastiere ed effetti sonori e vocali disturbanti, complessi, ma di estrema classe ed equilibrio “cosmico”. E non sbaglio a dire cosmico, in quanto è proprio la band stessa che si definisce, o definisce questo lavoro in particolare, “cosmic doom”.
In Black Swan il giro di basso iniziale si dirige verso una delicata ed ipnotica chitarra che magicamente ci trasporta in atmosfere che ci ricordano tanto il prog dei Porcupine Tree , mentre a livello vocale sembra di specchiarci nella magistrale voce e capacità suadentemente interpretativa di David Tibet (Current 93) il tutto condito da ritmi e atmosfere che ricordano parecchio i Tool o perché no, anche gli Oceansize.
In a Quiet Land of Fear (title track) c’è un risvolto più sporco, duro, vorticosamente dark che non si sa fino a che punto ci travolgerà e ci scaraventerà al suolo. Il suono prosegue e diventa sempre più subdolo per poi disincantarci nei ritornelli e farci capire che siamo finiti in un girone infernale senza uscita.
In “0 Kilometers to Nothing” troviamo qualcosa di più particolare, che si distacca un po’ da quello che abbiamo ascoltato sino ad ora. Si mescolano parti più lente a parti più movimentate che sfumano per seguire e combaciare con orme cupe ed ansiogene che ricordano molto i Neurosis.
In Ancestral Silcence, come già il titolo ci può far intendere, entriamo in un clima superspaziale più deviato e disturbante rispetto allo standard del disco condotto sino ad ora, per proseguire con il pezzo a parer mio più riuscito, ovvero Silent Sun dove l’avantgarde e la sperimentazione finalmente esplodono in un prog oscuro e calzante. Passo attraverso la settima e ottava track che a parer mio, sono orpelli semi strumentali o come dico sempre io, in questi casi, sono toppe compositive . Per cucirle su un abito, capita a volte di non trovare il filo del colore uguale all’abito stesso per non creare discromie … così si ricorre a fili di emergenza, che fortuitamente, si accostano in modo vincente al colore dell’abito o meglio dell’album.
L’ultima track “That day i Will Disappear Into the Sun” è l’ottimo finale che si riesce a svincolare e spersonalizzare dai forse un po’ troppo imitati gruppi di riferimento nel corso dell’album. Un’ atmosfera sontuosa ci fa volare davvero in alto, soprattutto nel ritornello, come se l’emozione ed il pathos ci portasse talmente vicino al sole da fonderci e confonderci con lui. Un distinto finale per un buon album. Non sprizzo entusiasmo per questo lavoro perché non mi ha saputo trasmettere il suo messaggio: “una tranquilla terra di paura (tradotto letteralmente) dovrebbe darmi la sensazione di una continua e lenta angoscia provocata dalla paura.. e la paura non deve essere qualcosa né di noioso e tanto meno di replicato, sennò che paura si può provare a vedere o ad ascoltare qualcosa a cui si è già abituati? Critiche personali e soggettive a parte – che ovviamente lasciano il tempo che trovano (ma che talvolta lasciano anche il segno che incidono e possono far migliorare)- la band ha saputo comunque maturare molto a livello testuale ed interpretativo rispetto ai lavori precedenti e lodo le miscele stilistiche, le appendici avant garde e jazz , oltre che un utilizzo bilanciato e sapiente del synth
che mantengono una certa eleganza e discrezione, creando così quell’aurea, per l’appunto, “intellettualmente oscura”.