Non è sempre facile ascoltare album che ti soddisfino completamente, come del resto non è mai facile trovare le parole adatte per descrivere un gruppo, la sua effettiva bravura, le caratteristiche che lo valorizzino o lo penalizzino.
Non è facile se si ha un po’ di buon senso e rispetto nei confronti di chi fa musica, di chi ci mette tutto il suo impegno, soprattutto quando si tratta di debuttanti. Ma gli Stealth, ferraresi nati nel 2007 grazie, GRAZIE (e lo scrivo in piena consapevolezza, questo grazie, in maiuscolo) a Luca Occhi (chitarra e backing vocals) e a Marcello Danieli (batteria) hanno finalmente soffiato come un vento forte e impetuoso nel mio cielo di dubbi relativamente ai giudizi, hanno portato una ventata di limpida oggettività, che chiaramente mi può far dire tutto e niente : tutto di positivo e nulla di negativo, tutto di emozionante e nulla di scontato.
La loro completa formazione avviene nel 2011, con l’aggiunta di altre tre preziosi componenti : Matia Catozzi(chitarre), Andrea Rambelli (basso e backing vocals) e il magnifico cantante Enrico Ghirelli.
Sono veramente entusiasta, di scrivere e soprattutto motivata ad essere così coinvolta. No, non li conosco e non è pubblicità, è solo il potere della musica, quella buona, quella vera, quella sudata e studiata che ti fa scrivere così, in preda ad una sindrome di Stendhal che non avevo da tempo.
“Shores of Hope” è un album auto prodotto, ma che non ha nulla a che vedere con dei debuttanti alle prime armi: qui si respira dedizione, si respira semplicità , fluidità e naturalezza, che come in tutte le arti, non si crea per caso, ma con anni di ascolto, di volontà e soprattutto di capacità ed esercizio.
Shores of Hope è realmente una riva di speranza, un attacco vitale ad un hard rock ora poderoso e corroborante, ora malinconico lento e commovente, che racchiude sfumature prog e linee grunge. Composto da dieci pezzi qualitativamente ineccepibili per un debut album sotto tutti i punti di vista, apre le strade a qualcosa di tanto magico quanto realistico, apre le strade effettivamente alla speranza, perchè non c’è nulla di più inafferrabile, ma possibilmente concretizzabile quanto lei.
E così si parte per questa avventura, che apre le danze energiche e travolgenti di Guns! Guns! Guns!, caratterizzata da un hard rock classico e scorrevole; si prosegue con la serpeggiante, maliziosa e torbida The Border. Ozone Fades ci regala atmosfere decadenti e tetre, che riprendono in un ritornello calzante e massiccio. Goodspeed è la prima delle quattro ballad che incontreremo ed è la prima che permette di capire la versatilità di tutti i componenti nel saper esprimere potenza, la loro potenza. Non è necessario fare un ‘gran frastuono’ , molto spesso sporcato dalle proprie convinzioni, per dar l’impressione di essere dei metallari capaci: la potenza la si evince anche e talvolta , in particolare, nelle linee più tranquille , malinconiche e profonde, dove l’anima tanto rocciosa si sgretola, portando alla luce il potere più forte : la trasmissione di emozioni, che tuttavia ha bisogno di esplodere in liberatori refrain, come nel caso appunto di Goodspeed.
Le sirene di Nuclear Warfare ed il suo inizio così rude e cupo, ci conduce in una mitragliata esplosiva di batteria e basso, arricchita dalle backing vocals che danno sicuramente supporto e una marcia in più alle già mirabili capacità del Ghirelli, aumentandone il trasporto.
E poi giungiamo a Pharaoh, uno dei pezzi, a mio parere migliori dell’album ; ritmo rock seduttivo, trascina i sensi nelle sue spire oscure e ammalianti , nel vortice incantatore delle vocalità e degli assoli, una vera e proprio carezza tanto vellutata quanto graffiante, esplosiva nel suo mistero. Si prosegue con due ballad : la più luminosa Black Century e Unlhas 1915. Beh, sulla seconda mi soffermerò un poco di più, poichè è il pezzo che prediligo nell’album. Qui i cinque ragazzi mi hanno davvero fatto venire la pelle d’oca, proprio come quando ti trovi ad ascoltare quelle ballad immortali, che provocavano alzate istantanee di peluria e lacrime agli occhi. Questa track non solo esprime completamente l’estrema bravura del gruppo, ma anche la profondità reale che deve regalarci una ballad per possederci. Sono certa che anche il cuore meno tenero stenterà ad annoiarsi e potrà solo apprezzare con quanta delicatezza e quanta drammaticità l’interpretazione del cantante e degli strumenti, tutti, riescano a dare vita e pura emozione a questo pezzo, che inaspettatamente, toglie nel finale: una improvvisa cavalcata di emozioni si rincorre e ci rincorre per afferrarci e stenderci, a terra, stremati ma felici. L’album l’avrei fatto pure terminare qui, perchè è talmente incantevolòe questo pezzo, che verrebbe voglia di riascoltarlo tante volte e ricominciare da capo tutto per riascoltarlo, ma, ma…
Ci sono ancora due pezzi: Rock Beast, nel quale si riprendono le briglie di un hard rock fresco, orecchiabile scatenato, con assoli allegri e spensierati ,per poi terminare in un’altra ballad , my Heaven. Qui, all’inizio, pare di trovarci davanti a quei grandi songwriter evergreen, per poi fiondarci in una dolcissima melodia trasportante e in un refrain talmente emozionante, da farmi nuovamente venire la pelle d’oca.
Ma quante volte ho scritto ” emozionante” ? Tante? troppe ? No, in questo album nulla è tanto o troppo. E’ tutto così com’è: tutto immensamente ammirevole e straordinariamente piacevole. Realmente uno dei debut album autoprodotti più belli che abbia mai ascoltato.