Gli olandesi Nine Stones Close tornano alla riscossa dopo il debutto “St.Lo” di tre anni fa con il loro prog rock molto atmosferico ed affascinante; questo “Traces” uscito nel novembre del 2010 sotto la ProgRock Records. Il fattore di questo album che mi ha colpito è la durata dei brani molto elevata che va a comprimere quarantre minuti in cinque brani senza essere minimamente noioso o ripetitivo e legando ogni traccia facendo sembrare il tutto addirittura un blocco unico.
I toni generali sono sempre molto rilassanti e vedono “intrusioni” di chitarra solista molto spesso a portare un tocco pink floydiano all’atmosfera con splendidi soli effettati con delay; per quanto riguarda invece la voce possiamo notare un timbro che a tratti può ricordare Vedder dei Pearl Jam oppure il sound dei vecchi Porcupine Tree.
L’album inizia con “Reality Check”, dall’intro acustica che va poi a sovrapporsi con quella elettrica per poi partire con tutti gli strumenti, mantenendo sin da subito in evidenza il sinth, elemento fondamentale per la creazione del loro sound; questo è il brano più corto e l’unico strumentale del disco. Terminato come era iniziato con il riff di chitarra acustica, il suono si va a legare senza interrompersi alla successiva “Threads”, della durata di dieci minuti circa.
“Threads” riprende il sound dei Pink Floyd all’inizio e vede per la prima volta l’entrata della voce, una voce a tratti quasi flebile ma allo stesso tempo incisiva e delicata; proseguendo nel brano troviamo stacchi associabili agli storici King Crimson. Di gran gusto l’assolo di sei corde situato a metà brano; in tutto il disco il fondatore Adrian Jones non perde occasione di dimostrare la sua dimestichezza sullo strumento con ottime linee. Il brano si conclude poi sul rumore delle onde infrante e sulle grida dei gabbiani.
Si prosegue con “Falling To Pieces”, dove il tocco della band di Fripp è molto vivida ed i toni diventano anche più incalzanti, mantenendo sempre suoni intricati e pieni. A seguire troviamo la title track “Traces”, sostenuta da una flebile batteria che si limita inizialmente a scandire i quarti per poi tornare ad essere più compatta. La chitarra ha un suono pulito che accompagna la voce per più di metà brano su toni statici che esplodono poi in una sonorità notevolmente più carica e potente con un assolo fantastico. Ottimo brano che vede diversi cambi di suono molto belli.
Siamo giunti all’ultima traccia del disco, che dura ben quindici minuti! Non fatevi ingannare dalla lunga durata però, perché questo gradevolissimo brano scorre in realtà molto velocemente vista la sua ottima fattura che vede ancora una volta ritmi pacati e rilassanti accostati ad altri più potenti, il tutto senza perdere in tecnica e gusto. Come sempre gli assoli di Jones sono degni di nota e mai banali; quando il brano sembra spegnersi c’è un colpo di scena che alza i toni con il riff più massiccio dell’intera produzione in perfetto stile Soundgarden dei tempi d’oro. Una traccia da dieci e lode.
Concludendo ho trovato piacevolissimo questo disco ed ogni ascolto me lo ha fatto apprezzare sempre più; splendide le strutture costruite con intelligenza e dimestichezza nel settore, un cd da avere assolutamente per chi apprezza il prog vecchio stampo ma anche i Pearl Jam o i Porcupine Tree. Complimenti vivissimi ai Nine Stones Close che hanno ricreato una magnifica atmosfera con questo disco che merita senza discussioni il massimo dei voti.