Tornano, a tre anni dal precedente e ottimo lavoro (No Man’s Land) i nostrani Myland, band che oramai da tempo attendevamo ad una nuova relase.
Attesa ampiamente ripagata, visto che la band meneghina capitananta dall’unico membro originario e vero leader del combo Paolo Morbini, perfettamente coaudivato da un pugno di musicisti solidi e capaci, riesce a rendere splendido anche questo “Light of a New Day”, lavoro di difficile collocazione, a metà tra AOR, Progressive più classico e Power, in un mix che tutto fa tranne che annoiare l’ascoltatore.
Un’onda un po’ retrò traspare tra le song, che paiono proiettate verso il futuro tenendo un piede nelle sonorità colorite della fine degli anni ’80, complice forse anche la voce calda e suadente di un preciso e nitido Franco Campanella, bravissimo a destreggiarsi tra i vari brani, sostenuto da cori mai invadenti ma certo ben miscelati.
Le sonorità riprendono quanto aveva già mostrato il precedente lavoro, facendo però un ulteriore passo d’avvicinamento alla perfezione. Le tastiere sono sempre presenti, ma prendono il sopravvento (volutamente) solo nelle intro e nei finali delle song, lasciandosi poi sciogliere magicamente in un contesto compatto e bilanciato nel corso dei brani, in cui la precisione maniacale del drumming viene esaltata da riff chitarristici mai troppo complessi ma sempre orecchiabili e “digeribili”, arricchimenti e componenti fondamentali al tempo stesso dei brani, che più ancora che in passato sembrano essere diretti e assimilabili, entrando nella testa dell’ascoltatore per non uscirne più.
E allora ecco la power song d’apertura, “Living In The Magic”, carica di adrenalina positiva e sul punto di esplodere da un momento all’altro, con il suo sottofondo di keys ad esaltare il riffing asciutto e concreto di Hox Martino, fino al ritornello che si impara fin dal primo ascolto ; ecco la ottantiana e hard rock “Love Hurts So Bad” , o la futuristica “Shattered Dreams”, aperta da uno stuolo tastieristico che nulla ha da invidiare alle immagini delle avventure spaziali che si vedevano nei film di una decina di anni fa.
E poi “Wherever You Go”, ballad lenta e sentita, in cui l’interpretazione del singer diventa a tratti palpabile ed emozionante… il punto più alto dell’intero album, da far invidia ai Def Leppard.
Serve aggiungere altro? Forse solo che in tutti i 12 brani del nuovo lavoro targato Myland non c’è un colpo di sonno o un attimo di noia, ma solo bella musica, chiara, onesta, potente, diretta e curata. Forse no, non serve aggiungere molto altro, ma solo per non rovinare la sorpresa a chi questo disco lo acquisterà: potete star certi che saranno soldi ben spesi, perchè la musica a volte riesce ancora a colpire nel segno, e a segnare chi la ascolta.
Questo album sembra fatto apposta per questo.