Mabool, il diluvio universale. E come l’acqua scorre limpido, fluisce dentro i nostri ascolti per farci affogare dentro, per non dimenticare. Il lavoro si snoda in un concept album “religioso”, che narra delle tre figure metaforiche del Leone, del Serpente e dell’Aquila che rappresentano le tre principali credenze monoteistiche, in ricerca di una soluzione contro l’estinzione umana.
Non pretendo di sapere molto su questo, ho letto poco, ma quello che voglio raccontare è la musica di questo album, che mi ha letteralmente sconvolto.
Il disco si apre con “Birth Of The Three”, dove un coro di voci infantili introduce il brano, che in un guscio quasi progressive si snoda tra growls, armonie arpeggi e soli di chitarra, alternati a spoken words che introducono il concept della canzone. Il tutto continua in un refrain sempre in bilico tra melodia prog e death metal, per concludersi sotto un coro femminile in duetto col cantato pulito. Entrano le atmosfere arabe ed ecco che parte “Ocean Land”. Giocato su growls e arpeggi da “mille e una notte” il brano interseca una melodia vocale notevole, che ricorda decisamente le atmosfere degli Anathema epoca Eternity, tra cui un pregevole solo, ricco di pathos (e di tecnica, a cui il sestetto israeliano non manca proprio).
“The kiss of babylon” parte decisamente piu heavy con ritmiche stoppate, controtempi fino a esplodere in un chorus dove musiche arabe, cori e riff heavy trovano un incrocio sonoro spaventoso. La quarta traccia “A’salk” è un pregevole intermezzo, tra chitarre classiche, tamburi tribali in una melodia da antico egitto, che dopo suoi due minuti trasognanti getta in pieno su “Halo Dies”, il quinto brano. Cori possenti e arpeggi elettrico\classici ci spostano su un tunnel musicale di death melodico dalle tinte chiaroscure, per continuare su delle ritmiche spezzate e assoli quanto mai splendidi.
Parte “A call to awake” e ci travolge una scarica di progressive elettrico, di pregevole fattura e perizia tecnica, sempre secondo l’ottica medioriental-musicale del gruppo, che porta aria fresca in strutture quantomai esplorate, mostrando doti strumentali eccelse nel break finale, degno di un album dei Dream Theater quanto a tecnica. Tanto per sottolineare ancora l’omogeneità e la vastità dei generi acquisiti da questa band, la settima traccia “Building the ark” è una composizione quasi acustica, tra cori maschili e femminili, che crea un pathos quasi cinematografico. Sembra veramente di immedesimarsi in una scena “biblica” (o comunque da film colossal tale) della costruzione della famosa Arca di Noè.
La visione finisce e il break chitarra\voce di “Norra el norra” ci riporta alla realtà. Una realtà che getta le basi si nell’heavy ma anche nel folk, per concludersi in un assolo di piano veramente da brividi quanto è toccante. E poi la calma, “The calm before the flood”, una calma di arpeggi sognanti accompagnati da un leggero violino e a tratti una voce soprano, veramente d’atmosfera. Ma dopotutto, se la calma anticipa l’alluvione, “Mabool – The flood” è qui per ricordarci cosa ci aspetta. E così con pioggia e temporale in sottofondo salgono gli archi, che sfumano la melodia in una cavalcata chitarristica dal mood terribilmente “avantgarde” che mi ha riportato alla memoria quel capolavoro chiamato “The Sham Mirrors” di casa Arcturus (tutto questo almeno, per chi scrive) portando la canzone su un rimpiattino di cori, screams e cantato pulito.
Come dice il titolo, una vera alluvione, ma di bellezza, uno dei pezzi migliori dell’album.
Se l’alluvione continua, così anche la tempesta e “The Storm Still Rages” non fa altro che continuare il racconto con un pezzo armonioso, dove le chitarre la fanno da padrone in un continuo scambio di assoli, costruendo musicalmente quello che potrebbe essere una burrasca. All’improvviso si ferma e riparte cambiando tonalità, sostituendo le chitarre distorte con quelle classiche, mettendo in primo piano la parte “epica” di quello che poteva essere ilbrano, alternando il cantato “normale” ai cori. E così il pezzo sfuma, lasciando spazio a “Rainbow – The resurrection” che chiude il ciclo del concept in un’atmosfera leggera, positiva, come per sottolineare che dopo la catastrofe si può trovare la forza di ripartire.
Anche la band, dopo quasi sette anni di silezio riparte, nella miglior maniera possibile, regalandoci un gioiello che ogni ascoltatore di buona musica (e non intendo solo metal) dovrebbe almeno una volta ascoltare. Qui regna sovrano l’eclettismo, i generi vengono smontati ed esaminati a dovere, ricostruiti in maniera personale e soprattuto, di gran gusto, come poche band hanno saputo fare. Un disco essenziale!