Davvero un gran bel disco questo “Rivers of broken glass”, primo lavoro dei The Soundbyte (che poi non sono una vera e propria band, trattandosi in realtà di un side project del compositore principale dei The 3rd and the mortal Trond Engum) e prima uscita per la nuova Amaranth Recordings (gestita da Davide Tiso degli Ephel Duath).
I The Soundbyte sono un territorio in cui sperimentare che Trond frequenta fin dal 1998, e solo ora viene pubblicato il disco di esordio, dopo anni passati a studiare la natura fisica del suono con lo scopo dichiarato di “portare suoni organici su un paesaggio sonoro digitale”. Il risultato ottenuto è veramente interessante e personale, 10 canzoni strane ed affascinanti che spaziano attraverso un largo spettro di sensazioni (tutte abbastanza oscure e fredde, però). Le note che accompagnano il promo dicono che questo disco è stato inciso in due mesi su una barca al largo nei mari del nord, e in qualche maniera il suono di “Rivers of broken glass” ha veramente qualcosa di liquido in sè, sa infatti di acque torbide e fredde. L’opener “Fall” è un manifesto di quanto scritto: l’insieme di una base sonora gelida e distante, come se provenisse da lontano e si offuscasse passando attraverso delle fredde nebbie, e delle voci maschile e femminile (anch’esse distanti) crea un’atmosfera “straziata” (termine perfetto che ha usato la mia ragazza per descrivere questa canzone quando gliela ho fatta sentire, io non riuscivo a definirla quando gliene parlavo) e grandiosa allo stesso tempo.
Segue le medesime coordinate anche la successiva “Monyon”, dove i vocalizzi femminili richiamano quanto fatto con i The 3rd and the mortal, tuttavia il vero nucleo del pezzo si trova nelle parti col cantato maschile, oscure e conturbanti, il risultato finale è un qualcosa di morboso e malato ma allo stesso tempo anche attraente. Molto bella anche “Addiction complete”, una specie di oscura marcia che fa pensare a qualcosa di negativo e schizofrenico che sta arrivando, come una coltre di nera follia che avanza. “Lie” risulta invece più positiva, ed anche qua le stratificazioni sonore richiamano un po’, come già accadeva in “Fall” (anche se non l’avevo scritto), lo shoegaze dei My Bloody Valentine (gruppo molto interessante autore del bellissimo “Loveless”, disco che penso molti lettori non conosceranno e che consiglio vivamente), il tutto in un brano più “easy listening” dei precedenti, ma sicuramente non meno valido.
La successiva “Waiting” è invece un pezzo che sembra uscito dalla colonna sonora di qualche film di James Bond (lo avrei visto bene su “Memoirs” dei The 3rd and the mortal), sporcato però da momenti più inquietanti e più in linea con il resto del disco. Decisamente particolare anche “Water”, che si apre con dei rumorismi su cui poi si appoggiano una serie di stratificazioni sonore quasi ballabili che però non stonano con il resto dell’album. A seguire “The line” ritorna più in linea con il “mood depressivo” del disco, anche se le atmosfere non sono più soffocanti e cupe come nei primi pezzi. “Til ungdommen” cambia poi di nuovo le carte in regola, trattandosi di una specie di nenia dal sapore molto nordico in cui il cantato si appoggia su una musica che rimanda ai pezzi più oscuri dell’album. Con la title track infine, un umorale collage di rumori e vocalizzi che sa un po’ di incompiuto, ci avviciniamo all’ultimo pezzo del disco: “The dark”. Questo brano, come si può intuire dal titolo, è un ritorno alle sonorità più cupe, e ancora una volta rumori sinistri e una voce inquietante dominano le scene di questo pezzo freddo e cadenzato.
Insomma, come avrete intuito “Rivers of broken glass” è un lavoro molto particolare. A me è piaciuto non poco (se lo avessi recensito qualche settimana fa lo avrei sicuramente messo tra i migliori dischi nelle poll di fine anno… anzi, mi riservo di inserirlo nelle poll dell’anno prossimo, in fondo è uscito a cavallo tra le due annate), tuttavia non è di certo una cosa per tutti (le canzoni sono introverse ed introspettive, le sperimentazioni sono evidenti, l’originalità è manifesta). Detto questo se vi piacciono le sonorità depressive e non avete paura di ascoltare un disco che suona “alieno” (anche se fa molto “avantgarde scandinava”) allora fate pure vostro il lavoro dei The Soundbyte, gli altri invece stiano attenti…