Dopo un 2004 votato alla follia più assoluta, dopo improvvisi colpi di testa, crisi mistiche, una nuova cantante confermata e dopo alcune settimane sbattuta fuori dalla band senza troppi problemi, scazzottate varie e scene tristissime sul palcoscenico, sembra che la “strato-novela” non sia ancora finita: infatti, come se nulla fosse accaduto Timo Tolkki, tornato nuovamente sano di mente, (chissà per quanto…) richiama a sé i suoi ex-colleghi, eccezione fatta per il dimissionario Jari Kainulainen, forse il più furbo della compagnia, ritornando alla carica con un nuovo disco che nel bene o nel male riporterà ancora una volta l’attenzione del popolo metallaro sulla band finlandese.
Pensavo che dopo i due “Elements” gli Stratovarius avessero ormai toccato il fondo della bottiglia, ma evidentemente esiste un livello ancora più profondo…raggiunto con questo nuovo album. “Stratovarius” è un album piatto, improvvisato e superficiale. Sembra che tutte le canzoni siano state scritte in cinque minuti con il solo scopo di mettere giù quattro accordi per permettere a Kotipelto di cantare la prima linea melodica che gli passa per la mente. Il suono del disco è molto più aggressivo che in passato, sono abbandonate le sonorità che hanno reso famosa la band per abbracciare ritmiche più hard rock oriented come capita nell’opener “Maniac dance” introdotta da un giro di synth a dir poco ridicolo, doppiato in seguito dalla chitarra, e dalla successiva “Fight!!!” brano che vede Timo Kotipelto protagonista di una linea vocale noiosa e priva di mordente. A risollevare la sorti di questa nuova release arriva la successiva “Just carry on” che riporta indietro nel tempo la mente quando ancora gli Stratovarius non erano l’ombra di se stessi. Assolutamente inutili i soli di Tolkki, si riassumono in una semplice successione di note inserite tra una strofa e l’altra con l’unico scopo di allungare il brano. Finalmente sembra che con “Back to madness (forse questa canzone ha a che fare con Tolkki?) ci sia una leggera ripresa dell’album e, infatti, il pezzo attacca con un riffing di chitarra piuttosto azzeccato alternato a parti acustiche in cui Timo sfodera una prestazione canora piuttosto buona ma all’arrivo del break centrale si assiste ad uno pseudo intermezzo operistico che dire ridicolo è dire ancora poco. “Gipsy in me” è invece una classica Strato-song dal riffing e dalle linee melodiche già sentite ormai milioni e milioni di volte mentre sul finale dell’album arriva il classico e immancabile lento e “The land of ice and snow” vede Tolkki fare il verso alle ballad presenti in “Visions” ed “Episode” creando però un pezzo davvero brutto e incredibilmente noioso. Le rimanenti “Leave the tribe” e “United” possono tranquillamente essere skippate senza troppi problemi e a questo punto a voi la difficile scelta se ricominciare l’ascolto dell’album (che tra l’altro vi è costato la bellezza di venti euro) oppure farlo schizzare fuori dalla finestra e lasciarlo in balìa delle automobili.
Sicuramente i fans del gruppo finlandese grideranno al miracolo sostenendo che Tolkki è guarito e che “Stratovarius” rappresenta il ritorno in pompa magna della band dei due Timo mentre tutti quelli che non hanno mai amato gi Stratos continueranno imperterriti ad odiarli. Personalmente ritengo che gli Stratovarius siano stati una grandissima band, ma è meglio che smettano di fare album, è l’unico modo che hanno per salvare la faccia e per continuare a mantenere un posto nella storia del metal senza farsi ridere dietro.