Per una band giovane, e non certamente formata da funamboli della fantasia, non risulta nè vantaggioso nè, tantomeno, salutare portarsi dietro importanti paragoni e, di conseguenza, pari aspettative. Acclamati dopo appena un disco come gli eredi a stelle e strisce degli At The Gates, questi The Black Dahlia Murder sono giunti alla propria seconda uscita discografica con il fiato sul collo di chi, nostalgicamente, nella noia totale provocata dai lavori del genere, cercava in ‘Miasma’ un potenziale emulatore dell’eterno ‘Slaughter Of The Soul’.
C’è da dire fin da subito che il risultato, seppur buono e comodamente ponibile una spanna sopra la diretta concorrenza, rimane ben lontano da quella che rimarrà la bibbia del death-thrash svedese. Difficile e superfluo descrivere un lavoro di cui si può immaginare il contenuto ben prima dell’acquisto ed errato sin da una pianificazione che ne taglia, dal principio, ogni spunto di personalità. Fortunatamente per i BDM, e di chi deciderà di far proprio ‘Miasma’, le qualità individuali di ogni singolo componente sono indiscutibili e piacevolmente riscontrabili già dai primi assaggi del disco. I dieci brani che lo caratterizzano hanno la tendenza a mantenersi tutti su un livello di godibilità sufficientemente elevato catturando in ogni istante, grazie alla capacità delle due chitarre di serrare i veloci riff senza creare buchi compositivi che spesso affliggono i lavori dei colleghi, l’attenzione dell’ascoltatore. Non basterà, però, l’ulteriore apporto teso dalle ottime capacità interpretative del singer e dal virtuosissimo batterista Zach Gibson ad elevare la seconda creatura degli statunitensi sul trono di un mercato sempre più saturo di lavori ad essa troppo simili.
Cartellino marcato anche stavolta ma, da questi ragazzi e dalle loro capacità espresse in maniera forse troppo ordinaria, vogliamo, possiamo e dobbiamo pretendere di più.