Un titolo dal pachidermico senso di deja vu come “The Art Of Dying” potrebbe lasciare intendere ai potenziali acquirenti di un disco che l’originalità degli autori sia stata dedicata al lato musicale dello stesso, senza badare a particolarità che spesso e volentieri servono solo da contorno visivo.
Nel caso dei britannici Schiztome, però, quello dell’essenzialità marcata è, purtroppo, un filo conduttore che arriva con prepotenza a screditare e sciupare anche l’ambito tecnico-compositivo del lavoro. Sin dalla prima title-track (risultante alla fine dei conti uno dei migliori brani del lotto), infatti, si scorge all’interno del sound tessuto dai cinque ragazzi di Plymouth uno sgradevole senso di anacronismo che non esiterà a ripresentarsi spesso e volentieri nei trenta minuti successivi che portano all’epilogo. Le composizioni, pur avendo dalla loro un buon bagaglio di aggressività ed una struttura molto semplice che ne facilita l’impatto, hanno il difetto di risultare sempre scarne, troppo essenziali. Le soluzioni poco ricercate e grezze, in cui risultano talvolta imbarazzanti i riferimenti ai Sepultura, suonano come antenate senza presa di quelle tanto predilette dal metalcore tanto in voga oggi. Pezzi brevi e tirati, strutturalmente riconducibili all’hardcore, si danno il cambio in scaletta picchiando con tutte le armi sonore a disposizione ma facendo male solo in casi isolati e sporadici.
Condannato anche da una produzione alquanto deficitaria, “The Art Of Dying” lascia solo intravedere spiragli positivi e degni di nota che, affogando nella mediocrità generale, risultano piuttosto fini a sè stessi e trascurabili in un disco che sa troppo di ritorno incondizionato al passato.