Dopo ben tre anni di attesa, Blackie Lawless ed i suoi W.A.S.P tornano alla grande sul mercato discografico rilasciando l’ennesimo, ottimo, studio album della propria carriera. Con “Dominator”, infatti, non si interrompe la scia positiva di lavori ispirati ed entusiasmanti che hanno sempre (o quasi sempre) caratterizzato l’operato della band americana, sicuramente tra le più influenti e rispettate dell’intero movimento internazionale.
Rispetto al passato, trovano maggiore spazio e possibilità di esprimersi quegli elementi tipicamente rock che, negli ultimi due lavori in particolare, sono stati sovrastati da parentesi piuttosto ampie ed introspettive su di un certo tipo di rock emozionale. Con l’iniziale e sbarazzina “Mercy”, si capisce sin da subito che le carte in tavola sono ancora una volta cambiate e che da Blackie Lawless, in fin dei conti, non ci si deve mai aspettare lo stesso album di sempre. A riprova di quanto poc’ anzi detto, “Dominator” si circonda di episodi piuttosto differenti tra loro, legati assieme da un unico filo conduttore che è quello della qualità intrinseca delle composizioni. “The Burning Man” e la bellissima “Long, Long Way To Go”, da questo punto di vista, si candidano sin da subito a rappresentare dei cavalli di battaglia in sede live, forti di un’attitudine adrenalinica che lascia il segno sin dai primi ascolti. La stessa “Take Me Up”, fondamentalmente una power ballad, si dimostra incredibilmente ispirata e pregna di quel pathos che solo un grande interprete come Lawless sa imprimere alle proprie composizioni. Senza citare tutti gli episodi, si può tranquillamente sottolineare come questo lavoro sia dotato di un vago tocco nostalgico che rispesca a piene mai, ma con intelligenza e parsimonia, direttamente dal periodo d’oro della band, per intenderci quello del capolavoro “The Crimson Idol”. Tutto, poi, sembra far quadrato attorno alla riuscita di questo piccolo gioiellino, dalla prestazione memorabile di Blackie alla produzione calda ed avvolgente che ne caratterizza la riuscita sonora, dalla cover artwork di denuncia alla set list da brivido del prodotto.
Tutto al posto giusto, dunque, per il miglior lavoro della band da qualche anno a questa parte, un disco che rimetterà le cose a posto anche con i vecchi fan delusi dall’accoppiata “The Neon God”.