“Invernale”, questo è l’aggettivo migliore per “Things That Were” dei Twelfth Of Never. “Invernale”, perchè ad ogni ascolto si viene travolti da un’atmosfera ovattata di freddo e sospensione, da un insieme di sensazioni eteree ed avvolgenti. L’incanto che ammalia l’ascoltatore è semplice ed è composto principalmente da due elementi: le tastiere di Matthew Davis, capaci di tessere delicate trame dolci e piene di cordoglio, e la voce da regina delle nevi di Robin Tinker, su queste basi si aggiungono poi degli elementi più metallici, ma il nucleo delle composizioni sono praticamente sempre la voce e le tastiere. I brani che meglio rappresentano quanto appena descritto sono anch’essi due: “Nightlong”, un’onirica composizione in cui viene narrata magistralmente la storia del narratore che per tutta la vita insegue la visione di una danzatrice che ogni tanto gli appare come da un sogno, per poi trovarla una sera ridente mentre si trova di fronte ad uno specchio, e “Recognition”, la descrizione di un abbraccio perfetto tra due anime e due persone, una specie di nucleo caldo e sereno sospeso all’interno di un vuoto freddo e sereno. Sebbene queste siano le due tracce che più amo e che segnano i margini entro cui si muove il disco, non si pensi tuttavia che gli altri brani non siano meritevoli di ascolto. “The Tiny Drawer”, per esempio, è una sbilenca e metallica nenia in cui la narratrice parla del suo cassetto segreto, che una volta aperto rivela il suo contenuto di fiale di veleno e di tavolette di dolci, di foto di amori persi da rimpiangere e di nuove prede con cui giocare, mentre “Two Seven” è invece un luttuoso pezzo che Matthew Davis ha scritto per Tara Harding Lee, una ragazza (alla quale è dedicato il disco) con cui intratteneva una relazione amorosa, morta durante la lavorazione di “Things That Were” (il 7 febbraio, come suggerisce il titolo della canzone) in circostanze non del tutto chiare (per molto tempo poi sul sito sono apparsi post relativi ai forti problemi psicologici che questo ha causato in Matthew, che ora, dopo aver avuto una figlia, sembra averli superati). Non citerò altri pezzi, in ogni caso il livello medio è elevato, sebbene non uniforme, e non ci sono grossi cali.
Nonostante siano ormai diversi anni che è uscito, “Things That Were” non è molto conosciuto, ed è un vero peccato: è infatti un disco capace di suscitare delle emozioni molto forti e, come segnalato all’inizio, è perfetto per i mesi invernali… insomma, se amate le atmosfere darkeggianti ed eteree (alle quali qua viene aggiunto un pizzico di shoegaze) vi consiglio fortemente questo disco, difficilmente ne resterete delusi.