Quando l’apparenza inganna. Un monicker, un artwork ed un titolo che fanno presagire un sound “gelido” e glaciale fanno da apripista per la seconda fatica degli Skeletonwitch, quintetto statunitense al servizio della Prosthetic. Un biglietto da visita tanto omogeneo quanto stridente con una proposta musicale calda e sanguigna, che affonda le proprie radici nella tradizione del thrash più abusato e citato.
I cinque musicisti d’oltreoceano seguono la lezione dei 3 Inches Of Blood e, partendo da una base d’originalità pari a zero, tentano di vendere come moderno un platter che di tale ha solo la produzione ed un approccio vocale “audace”. La differenza con i connazionali, da cui ereditano sia il mordente che lo smarrimento precoce, sta nella fonte “ispirativa”. La formazione in questione, infatti, saccheggia la storia del thrash, con particolare simpatia per la scena svedese, approfittando della propria abilità d’impatto e coinvolgimento sull’ascoltatore di turno per riproporre il già sentito in una forma quantomeno godibile. Tutto ciò avviene grazie alla riproposizione di un thrash veloce e tirato, tutto impostato sulle armonizzazioni delle twin guitars e sul lavoro di una sezione ritmica sparata, in cui la band trova una dimensione organica e ben concepita. In questo contesto, ben si adatta la voce del singer Chance Garnett che, nonostante uno scream gracchiante e sgraziato, riesce a svariare mostrando stile e buone capacità interpretative. Un album in chiaroscuro, in cui, già ai primi ascolti, la noia fa capolinea in fondo ad una tracklist, benché piacevole ed ascoltabile, ancora troppa povera di cartucce da esplodere. Non sarà la solita plastica, non sarà da buttare ma per fare di ‘Beyond The Permafrost’ qualcosa di consigliabile ci sarebbe voluto ben altro.