Difficile giudicare il debutto su larga scala di questa band inglese. Il quintetto si forma nel lontano 2000 ma arriva solo ora alla prima reale relase, con – tra le altre cose – una grossa mano italiana nel suo clichè (Zeta Factory e Studio 73 sonno gli artefici del lavoro di registrazione e produzione).
Difficile perchè i cinque ci sanno davvero fare, soprattutto il drummer Ineal, macchina da guerra spropositata in alcuni frangenti. La band ci porta in un mondo fatto di urla, dolore e oscurità, spaziando dal death metal più classico a tratti sinfonici, con pezzi più ascrivibili al doom a intervallare le prepotenti accellerazioni. Canzoni che hanno una durata media attorno ai quattro minuti, e che contengono in sè tante note positive quante negative. Il gruppo porta una ventata di originalità e tocco personale davvero evidente ad un genere, quello death, che davvero necessita di una brezza di rinnovamento per uscire dai suoi standard precostituiti. Song come “Psychopath”, puro doom lento e cadenzato intervallato da pesanti quanto violenti scatti d’ira a suon di doppiacassa sono una vetrina importante per questi “debuttanti”, mentre deve essere ascoltata più volte la violenta “Masterdom”, in cui compaiono anche le tastiere in maniera più evidente, portando le sonorità del combo verso i Dimmu Borgir piuttosto che gli Emperor che invece sembrano ispirare la maggior parte dei brani. Le note negative derivano però dall’ugola del singer Shaq, che riesce a rovinare il primo brano, “Life Without Numbers” con un cantato pastoso e assolutamente incomprensibile (tanto che risulta impossibile dividere le parole dai classici grugniti e urli disumani), mentre in linea generale si comporta dignitosamente e in alcuni casi eccelle in estensione e variabilità, tornando poi a peccare di tanto in tanto della stessa caratteristica precedentemente descritta, ma soprattutto una certa staticità generale dei pezzi, che dopo i primi 3-4 iniziano a somigliare gli uni agli altri, rendendo difficile la memorizzazione di uno in particolare o di uno spezzone su altri, rendendo l’ascolto fino alla fine lungo e noioso. Le possibilità di fare bene ci sono tutte, dalle buone idee alle caratteristiche tecniche dei componenti della band… questa volta deludono un po’… peccato di gioventù? Ai posteri l’ardua sentenza.

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