Sensazionale, il secondo parto discografico degli statunitensi Dust ha qualcosa di furente, di terribilmente barbarico, e non stiamo parlando della splendida cover ad opera del maestro Frank Franzetta, famoso per i suoi lavori con i Molly Hatchet; Hard Attack è il classico esempio di come l’Epic Metal, nella sua componente più fiera e primigenia, è una musica che non conosce età, in grado di regalare sempre e comunque le stesse emozioni; e se poi pensate che questo disco è stato edito nel lontano anno di grazia 1972, potrete capire bene lo stato di eccitazione iniziale.
Se non la prima in assoluto, sicuramente fra le prime band a suonare un heavy metal grezzo, tosto e figlio putativo dei retaggi blues dei sixties, i Dust vengono ricordati più per le loro collabborazioni successive all’uscita dei loro due unici dischi da studio, il drummer Marc Bell diventerà Marky Ramone, mentre il chitarrista Ritchie Wise produrrà il primo strepitoso album dei Kiss, che per quel che hanno fatto realmente, ovvero quello di aver gettato le basi per un genere nobile e fiero come l’Epic Metal più puro ed oltranzista che, ad una decina di anni di distanza dal loro secondo disco, avrebbe indotto altrettanti artisti alla pubblicazione di dischi di assoluto spessore artistico come nel caso dei Manowar, Cirith Ungol e Manilla Road soprattutto, forse quelli più vicini alla concezione di Epic Metal, ed unici veri eredi dei Dust.
Con una formazione stabilizzatasi attorno ad un classico power trio, line up vicina alla concezione seventies per eccellenza, a detta di molti critici musicali contemporanei, ma soprattutto dell’epoca, i Dust sono stati una delle migliori formazioni triangolari della scena americana di quegli anni, questo grazie anche ad uno stile musicale compositamente unico ed apparentemente intricato che abbinava sapientemente atmosfere oscure e maestose, fraseggi ed armonizzazioni chitarristiche di scuola Rock/Blues, e repentine divagazioni in campo Hard Rock Epici e maestosi, sognati e mai banali, il fulcro centrale della band newyorkese si componeva di musicisti seri e preparati, dotati di un background musicale di ampio raggio come il talentuoso bassista Kenny Aarson, produttore del disco, che con il suo micidiale frestless bass riusciva a marchiare a fuoco le composizioni della sua band, e che formava con il già citato Marc Bell, una delle sezioni ritmiche più indiavolate ed assatanate di quegli anni, mentre toccava al guitar player, nonchè vocalist, Ritchie Wise a dettare i tempi con i suoi solos nervosi e sguscianti come saette, e quelle accellerazioni proto heavy metal che, sicuramente, negli anni hanno impartito lezioni a più di un rocker.
Al di la di questo il loro sound piacerà sicuramente a chi è abituato ad ascoltare band come Cactus, Blue Cheer, Grand Funk o i primi Rush, un suono duro e temprato nell’acciaio quindi, ma ben arrangiato e con punte melodiche strepitose. Infatti, accanto a brani carichi di adrenalina pura e dinamite come la tellurica All in All che suona come una versione Heavy dei Beatles e dei primi Who, o l’incedere epico e sontuoso di Suicide che abbina un cantato a la Rolling Stones, ad un rifferama degno del miglior Page d’annata, trovano spazio le delicate melodie della sognante Thusly Spoken, delicata ballad ricca di rimandi alla tradizione progressiva mittle europea, Genesis su tutti, le atmosfere country rock di I Been Thinkin, con tanto di slide guitar in primo piano che e fa da contorno a delle atmosfere melliflue davvero toccanti, mentre l’apice qualitativo il trio lo raggiunge con lo strumentale Ivory in cui i nostri, liberi da ogni costrinzione artistica, danno fondo al meglio del proprio repertorio, edificando un wall of sound davvero impenetrante, edificato su chitarre pachidermiche e sezione ritmica quadrata e precisa.
Un gruppo da conoscere assolutamente, sia che siate amanti dei seventies, che propensi alle modernità attualmente in circolazione, Dust Attack è un disco per cui vale la pena spendere parte del vostro prezioso tempo nella sua ricerca, fidatevi.