Metallari che state leggendo questa recensione, state attenti: qui di metal non c’è un granchè, ma non necessariamente si tratta di un male. Andiamo con ordine, così capirete il motivo di questa precisazione. I Mojo Pojo provengono da Caracas, in Venezuela, e fanno un progressive rock dalle sfumature jazz/fusion con qualche leggerissimo richiamo alla scuola metal di stampo Dream Theater. Quello che porta in alto la quotazione dei brani di questo album autointitolato è il feeling di un’improvvisazione continua, ma mai fine a sé stessa, visto che viene sempre privilegiato l’aspetto legato alla canzone piuttosto che alla tecnica ed all’esercizio di stile forzato. Un esempio di ciò è la stupenda “Intro”, vero highlight dell’intera opera e che ben simboleggia l’ampio spettro di influenze dei Mojo Pojo i quali ce la mettono tutta nel realizzare un lavoro vario, ma dall’impronta ben riconoscibile.
Un lavoro strumentale sarebbe stato eccessivo, così capita all’incirca nella metà dei brani che il bassista Enrique Pérez o il tastierista Luis Daniel González si cimentino anche dietro al microfono, va detto con risultati più che soddisfacenti. In questo modo si chiude un discorso atto a far comprendere a tutti voi che la grande tecnica non serve a nulla se sfoggiata e basta, ma va riposta al servizio delle canzoni, vero e proprio punto focale della musica moderna. Se questo elemento viene a mancare ciò che ne conseguirà sarà solo un minestrone malfatto di stili, assoli a 1000 km/h ed una rincorsa al ritmo dispari che più dispari non si può. Se è questo quello che cercate, allora tenetevi pure lontani da “Mojo Pojo”, altrimenti fatevi il favore di deliziarvi le orecchie con il primo album omonimo di questi quattro strumentisti eccezionali.
Quasi dimenticavo: come ospite è presente James Murphy (ex-Death, Testament, Agent Steel, Obituary, ecc.) in “Stained”. Un buon motivo per chi ascolta metal per avvicinarsi a questa talentuosa band venezuelana. Fidatevi, ne vale la pena!