Chi trova un amico trova un tesoro; frase fatta tremenda ma calzante a pennello per gli A Love Ends Suicide. Il potere di un’amicizia importante, ed evidentemente di stima, con Tim Lambesis degli As I Lay Dying ha consentito, infatti, alla formazione statuinitense di guadagnare le attenzioni della prestigiosa Metal Blade entrando, al debutto, dalla porta principale in un periodo in cui a qualunque altra formazione sarebbe stato alquanto difficile.
I motivi? Imputabili nè alla tecnica, nè alle capacità compositive del dotato quintetto, quanto al fatto che il sound dei ragazzi non vada oltre il classico, ordinato e ben suonato metalcore. Con l’ausilio di una produzione, praticamente e naturalmente, perfetta, il quintetto forgia undici brani che, pur armati di spirito critico, non hanno difetti che prescindono dalla classica originalità carente nelle nuove leve del genere. Per non tradire la tradizione che vuole sorprese pari allo zero, l’influenza maggiore da cui sono affetti i pezzi risulta proprio quella dei compagni di etichetta As I Lay Dying, evidentemente spirito guida della giovane formazione. Un disco aggressivo, dunque, fondato sulla perfetta e chirurgica intesa delle due chitarre, capaci di dare il meglio e farsi piacere nell’alternanza tra fase melodica di estrazione swedish, muro sonoro puntuale e feroce e, dando davvero il meglio, in una solistica mai pacchiana e di buon gusto. Discreto, naturalmente, anche l’apporto dell’HC riscontrabile nel malessere urbano espresso da alcuni passaggi e, anche e soprattutto, dai “cori” in perfetta scuola newyorkese. Ad arricchire il piatto, qua e là, qualche intervento vocale in emo-style che, per peso ed incisività, non riesce ad aggiungere nè togliere alcun punto ad un disco per il quale vale la solita, ricorsiva, ormai disturbante cantilena: i cultori del genere ne impazziranno, per gli altri la solita pasta.