Iniziativa non originalissima, ma in ogni caso apprezzabile, quella della giovane Akom Production di pubblicare, spulciando in lungo e in largo nel meglio proprio roster, una compilation che si pone l’obiettivo di valorizzarne le realtà protagoniste. Come facilmente intuibile, il risultato è prevedibilmente variegato, godibile e, tra alti e bassi, potenzialmente interessante per un pubblico dal ventaglio d’ascolti più aperto e moderno. Diciannove band italiane ed una statunitense per un’uscita che concentra insieme realtà musicalmente lontane, ma non per questo dalla convivenza impossibile, come metalcore, crossover, death, rock, thrash, grindcore, punk-hardcore melodico e mille altre sfumature.
L’arduo compito di dare il benvenuto all’ascoltatore spetta agli Un-Kind ed al loro duro crossover che, tra qualche nota derivativa di troppo, si lascia ascoltare senza colpire ed imprimere segni tangibili. Nel segno del ‘core le due tracce che seguono l’opener ben interpretate da Nowhere (aggressivi e tirati) e Mainline (più “riflessivi” e studiati) che riescono a comportarsi in maniera egregia, centrando l’obiettivo di far male lasciando qualche cicatrice.
Dopo il violento trittico iniziale i ritmi si sgonfiano e le linee vocali si addolciscono per far spazio ad un’attitudine più spiccatamente melodica ma comunque valida. Ed è così che, ad amplificare quel contrasto di sapori argomento dell’antifona alla recensione, arriva l’ottimo rock melodico dei Syr Psycho, con una “Take A Stand” che, nonostante qualche forte eco di Chris Cornell nelle linee vocali, stupisce per la capacità di far abilmente convivere immediatezza e semplicità con strutture ritmiche studiate e complesse. Il livello qualitativo scende, pur rimanendo su livelli degni, con i Redefine! e la loro proposta fortemente radicata nel panorama rock italiano e band come Afterhours e Marlene Kuntz.
A mantenere ancora ampie le distanze dal metal ci pensano gli Eikasia, band sospesa tra un crossover piuttosto anonimo ed un rock quantomeno coinvolgente, che, pur presentandosi con una voce femminile di tutto rispetto, non riesce a dare mordente ed originalità ad una proposta ancora da smussare così come quella dei successivi Fe.Dup. Formazione potenzialmente interessante, dedita ad un rock molto vario ed estremamente malinconico che, malgrado buone idee ed indiscutibili capacità, non rende continuità ed ordine a “Last Day Of My Life”.
A riportare il convoglio Akom su binari più duri arrivano i Media Solution con la loro gradevole “Pejote”, caratterizzata da un metal dal sapore nuovo, moderno e alquanto imprevedibile. Proposta dura ma di fioretto rispetto a ciò che segue: Timothy e Muculords. Grind ben strutturato, competitivo e marcio fino all’osso che nel primo caso punta su un approccio punk ed hardcore oriented e, nel secondo, su ironia lirica e sonora. I sorrisi scompaiono tra tematiche più “ordnarie” con i Last Rites, grupp giovane e ancora leggermente grezzo, dedito ad un thrash che strizza l’occhio, in più di un occasione, a soliti irritanti nomi così come con i precedenti Entity e la loro devozione ai C.O.B..
Growl e scelte estreme scompaiono ancora una volta, in maniera definitiva, per far spazio alla non felicissima performance dei milanesi Nowhere, molto influenzati dai Sentenced che furono, ma con un tiro ed un mordente decisamente da rivedere. Stesse influenze ma discorso nettamente differente per i Sin Driven Tide che, nonostante qualche urgente accorgimento vocale, con una ruffianeria più sfrontata ma utile alla causa, coinvolgono e si fanno ascoltare.
Ritorna il cantato in italiano con Germinale e Juglans Regia, band alquanto diverse (hard rock i primi, punk-hardcore i secontdi) che hanno in comune il denotare maturità e colpire sull’immediato, così come risulta indispensabile in raccolte di questo genere.
In un finale non proprio sugli scudi, con la performance da dimenticare degli Action Men e quella da rivedere dei Panic Roots, neanche l’unica band straniera del lotto (i Crunch Bob ed il loro inoffensivo thrash) riescono a salutare con soddisfazione chi ascolta.
Un prodotto che, come prevedibile, viaggia a corrente alternata e, da cui, nessun potenziale acquirente si aspetterà di stravolgere nè propri punti di vista nè i propri orizzonti musicali. Questo è il destino di compilation di questo genere, questo è ciò che l’AKOM e le sue band si aspettavano, questo è underground!