Una sorprendente ma piacevole evoluzione. E’ questa la sensazione suscitata da “The Archaic Abattoir”, prova che fa emergere per gli Aborted uno stile meno oltranzista rispetto al passato, ma decisamente più equilibrato ed intelligente. La matrice gore che dominava negli episodi precedenti è finita in bassorilievo per dar spazio a nuovi graditi inserimenti quali un legggero velo di melodia e passaggi rubati al thrash di concezione più moderna.
Sicuramente destinato ad alzare il solito muro divisorio tra nostalgici e “riformisti” questo è un disco che, per quel che se ne possa dire, piace, convince e soprattutto lascia il segno. Che l’impatto e la violenza sonora (seppur egregiamente dosata) siano rimasti una predilizione per gli Aborted in fase compositiva lo si intuisce subito con i primi lanciati episodi che sono perfetti interpreti ed apripista dello spirito voluto per questo lavoro. L’inoppugnabile “grugnito” di Sven de Caluwe, che si conferma uno dei migliori growlers a livello europeo, non tradisce chi lo vuole al massimo unendo alla sua proverbiale aggressività una stupenda vena di dinamismo ed espressività. I riff, come intuito, sono più alti ed aperti rispetto al passato ospitando nella, molto varia, gamma di soluzioni tradizionali proposte new entry come break che tanto ricordano i Carcass e sovrapposizioni in stile SYL. Oltre all’ottima produzione, altra nota positiva del disco è la compattezza: dieci tracce brevi e tirate per una tracklist che si lascia ascoltare senza difficoltà portando in maniera scorrevole al suo esaurimento.
Senz’altro meno violento e conservatore rispetto ai propri predecessori quest’album mostra una formazione ritrovata dal punto di vista della maturità e della linearità compositiva. Un disco che avrà una buona risonanza anche fra chi non aveva ascoltato il gruppo in passato e che merita, senza alcuna ombra di dubbio, di essere ascoltato per la propria cristallina valenza.