Liberarsi dell’appiccicosa etichetta di succursale dei Cynic, acquisendo qualità e concretezza. Un’operazione delicata, per qualcuno impossibile, che è costata agli Aghora sei anni di silenzio ed una totale rivoluzione di line-up. Via le pesantissime presenze di Sean Malone e Sean Reinert (che ha comunque in parte partecipato alla stesura dell’opera) da una formazione che, rispetto al disco d’esordio, si vede per tre quarti mutata e salva nella sola presenza di quel grandissimo musicista, nonchè membro fondatore, che è Santiago Dobles.
Avvicendamenti pericolosi, potenzialmente letali, con i quali, a sorpresa di tutti, questa fantastica band matura e trova le motivazioni per guardarsi allo specchio migliorandosi in più punti. Quello più facilmente ed immediatamente ravvisabile è, neanche a dirlo, l’elemento vocale. La poco più che ventenne Diana Serra, nonostante qualche punto da migliorare a livello espressivo, rimpiazza con padronanza e decisione la collega Danishta Rivero con uno stile più sobrio e misurato alla proposta offerta. L’elegante voce della ragazza, a volte riconducibile alla tradizione gothic di classe, si sposa alla perfezione con le melodie sognanti offerte durante la tracklist per un risultato meno eclettico del passato, ma senza dubbio più calzante. E’ così che le composizioni vengono ad acquisire omogeneità e perdono quel fare dispersivo carenza fondamentale del lavoro precedente. In questo contesto fondamentale è l’apporto di un compositore stratosferico come Dobles, che come liberato dall’ingombrante figura di Malone, rende protagonista fondamentale del disco la propria chitarra a dispetto di un basso, seppur sempre prodigioso, che ritorna al suo posto. Il risultato sono brani più pesanti e compatti, nei quali atmosfera, assoli incredibilmente in tema ed intrecci strumentali si mescolano con fascino e, finalmente, concretezza. La miscela finale diviene, così, sempre meno catalogabile e più personale. I riffing dei background death tecnico e progressive fanno la parte del leone in un contesto che lascia scoprire, col passare degli ascolti, temi che spaziano dal funky alla fusion, transitando per rock atmosferico a cinque stelle. Sensazioni indescrivibili, che diventano tangibili solo una volta avuto contatto con questo saggio di originalità vera e ricercata. Nel quadro illustrato, tra virtuosismi alle sei corde ed una sezione ritmica pregevolmente dinamica (tra tempi dispari, accelerazioni e colpi di coda), la tecnica ed una produzione finalmente buona hanno la preziosa caratteristica da fungere come mero viatico per il perseguimento dell’equilibrio finale. Un obiettivo coincidente con l’imprevedibilità, la capacità di cullare e la destrezza di ‘Formless’. Un diamante di gusto e raffinatezza.