Io non sono una grande appassionata del genere in questione. Anzi, nemmeno un’assidua ascoltatrice. Ma forse proprio per questo posso giudicare con obiettivo distacco il gioiello degli Ainur, Lay of Leithian.
Perché di gioiello si tratta, di piccolo capolavoro. Come altro definire una composizione complessa, ricca di contenuti strumentali finemente intessuti, damascati? Ricca altresì di espressioni vocali, dalla più leggera al soprano al baritono?
Gli Ainur di Torino sono al loro terzo disco, terza ispirazione dalla saga di Tolkien. Lay of Leithian è un concept album che ripercorre gli avvenimenti principali della storia d’amore del mortale Beren e la immortale Luthien, contenuta nel Silmarillion di Tolkien. La guida all’ascolto dell’album è molto ben dettagliata nel sito degli Ainur.
Il precedente Children Of Hurin era lungo la metà e assai meno articolato nella struttura.
Questo straordinario Lay Of Leithian coinvolge anche un’orchestra, la Symphonic Orchestra Musici di San Grato. Ma, a differenza di molti artisti che inseriscono un’orchestra per dare profondità e spessore a brani altrimenti scialbi, gli Ainur ne fanno un uso oculato e ne mimetizzano perfettamente la partecipazione accostandole gli strumenti dei singoli componenti del gruppo. Strumenti elettrici e tradizionali fusi a creare un’armonia classica ma moderna al tempo stesso.
La narrazione viene effettuata, in stile Blind Guardian, prima della canzone. Si alternano diverse voci narranti. Mi permetto però di sottolineare che sarebbe stato meglio far leggere persone di madrelingua inglese, perché alcuni lettori se la cavano ma altri manifestano evidente difficoltà di pronuncia. Detto questo, il tutto è finalizzato al racconto epico, e gli Ainur ci riescono: lavoro lungo ma senza sbavature, sempre focalizzato, curato, forse troppo, mai affrettato, ed estremamente coerente. Leggermente meno coesi soltanto gli assolo di soprano, che restano un po’ estranei all’opera se troppo lunghi. Inoltre, Lay of Leithian probabilmente richiederebbe maggiori cambi di tempo, più mordente. Temo che tenda a far distrarre l’ascoltatore meno attento, in quanto i cambi di atmosfera ci sono ma non sono mai drastici. A ciò forse si sarebbe potuto ovviare con qualche condimento più aggressivo.
Nota di merito al baritono Simone Del Savio, che dona gran classe all’album, e ai fratelli Catalano per la minuziosa attenzione agli intarsi di questo gioiello tutto italiano, obbligatorio per chi si ritiene conoscitore del prog metal.

A proposito dell'autore

Post correlati