Apri la confezione del cd, inserisci nel lettore il disco, schiacci play e in attesa delle prime note inizi a sfogliare il libretto… e come se un arcano giungesse dall’alba dei tempi di colpo ti ritrovi su per le scale di quel castello oscuro, illuminato da qualche fioca candela appoggiata su un teschio. Un antro imponente e decandente, con le scale scure che nascondono nella penombra della sommità creature sconosciute ed inquietanti. E i primi brividi iniziano a scendere lungo la schiena. Ma la paura è un crescendo, gli affreschi attorno a te rappresentano la morte con la consueta falce, mentre nei rari specchi strane figure si muovono evanescenti. Pause! un attimo per guardarsi attorno, capire che alla fine si è sempre seduti nel medesimo e tranquillissimo posto in cui si era dieci minuti prima e soprattutto che quello che abbiamo messo nel lettore non è un semplice cd, ma un’invocazione dark alla paura.
Arriva da Bergamo una delle migliori sorprese di questo inizio di 2009. Gli Aleph nella loro forma originale nascono nel 1998, e oggi contano su una line-up a cinque membri, con i due “fondatori” Battaglia e Togni affiancati dal trio Fugazza (chitarre), Ceresoli (basso) e Gasperini (tastiere) e ci confezionano quasi un’ora di musica difficilmente ascrivibile ad un solo genere, in quanto influenzata da molti differenti orientamenti musicali che si miscelano alla perfezione in un intrigo di voce dura, chitarre dai riff potentissimi e serrati, batteria a tutta doppia cassa e tastiere oscure e penetranti. Ne fuoriescono brani lugubri in grado davvero di evocare la paura attorno a noi, in un crescendo di intensità quasi cinematografico. L’opener “The Cradle And The Blade” ci porta all’inizio del viaggio nel mondo oscuro della magia e del terrore. Cattiveria su un velo di tristezza e malinconia ci accompagnano fino alla fine del brano, che è seguito a ruota da un brano decisamente più “metal classico”: sono i sette e passa minuti di “Bringer of Light”, in cui le chitarre distorte e gli improvvisi rallentamenti alternati a accellerazioni prorompenti creano un gioco di musica che non può stancare.
Nel turbinio di follia lucida dei cinque c’è anche “Chimera”, song divisa in due che alterna anche qui pezzi rapidi e taglienti a rallentamenti in cui l’ottimo lavoro delle keys crea freddo e vuoto attorno all’ascoltatore. Fuori dal “coro”An Autumn Colder Than Winter “, in cui la voce si fa pulita e lenta in un mid-tempo doom che ci prepara solo all’inizio della fine. Le prime note di “Tidal Wave” ci riportano nell’oscurità maligna in cui eravamo già stati trasportati, e in cui resteremo fino alla fine di questi 57 minuti di ottima musica. Non è un caso se i nostri hanno già suonato con Dismember, Vision Divine, White Skull o Necrodeath. Un gruppo che non ha paura di osare, non ha bisogno di scimmiottare alcun altro combo per farsi notare, e che regala un album che aumenta ulteriormente il valore della band dopo il già positivo “In Tenebra”.