Un grande ritorno! Dopo aver visto le sorti di molti gruppi, ridotti a imitazioni piu’ o meno riuscite dei fasti di un tempo, di cambi di stile e mentalita’ non indifferenti, quando un artista del calibro di Alice Cooper fa uscire un Album di questo livello, mai banale, quasi mai scontato, e’ una soddisfazione non indifferente. BP batte, sul loro stesso terreno, svariati mucchi di album di “new metal” (odiosa definizione) per genialita’ e inventiva, senza risultare “estraneo” alla discografia precedente. Non un
album perfetto, ma… quasi.
Il cantato alterna un lugubre “recitato”, tipico del death, alla “normale” timbrica cooperiana. La pecca piu’ grave, a mio avviso, e’ costituita dalle tonalita’ maggiori, a volte inappropriate al feeling del brano in cui si inseriscono. La signora Eva King, responsabile dello “strings arrangement”, non ci prende sempre.
Ma veniamo ai brani: la titletrack e’ greve di atmosfere lugubri, rafforzate dal testo totalmente pessimista, sottolineate dall’intrusione di coretti angelici che fanno risaltare il lato oscuro del brano. Segue Wicked young man, bella presa per i fondelli del satannazista fai-da-te, piu’ figlio di papa’ che altro. Anche questa e’ una mattonata sugli alluci, pur non avendo un ritmo forsennato. Segue Sanctuary, il cui testo riprende ancora il pessimismo, leit motif dell’album. Una pecca: qui compaiono per la prima le fatidiche tonalita’ maggiori di cui sopra. Non che stonino nell’insieme, ma senza di loro a parer mio il pezzo sarebbe stato piu’ incisivo. Inoltre qualcosa nei bridge che mi ricorda gli Almighty di Powertrippin’, niente di male, pero’. Si passa poi a Blow me a kiss, delirio horror contro chi non sopporta la diversita’. Musica abbastanza loud, tanto da farmi pensare al brano precedente come un’eccezione. Ma in eat some more, a fronte di un testo impegnato su chi muore di fame, purtroppo ritorna il giro di do. Tutto sommato un brano passabile, anche se un po’ troppo “elettronico” per i miei gusti, con rumorini da videogioco anni ’80. Seguono i tre pezzi migliori dell’album, massici e incazzati come un capitano dei marines. Pick up the bones, con un riff iniziale di acustica “molto” simile a quello di Fade to black, prosegue poi in crescendo, con un testo da racconto di Ambrose Bierce. Viene poi pessi-mystic, un brano che definire cupo e’ troppo poco. Chiude il trio gimme, un po’ meno tenebroso, ma con un testo da paura sull’ipocrisia. Il successivo It’s the little things e’ il piu’ tradizionalmente cooperiano del disco: sembra tratto pari pari da “Hey stoopid”, ritmo sincopato e chorus inclusi. Segue la semi-ballad take it like a woman, che non c’entra niente col disco, ma… Alice Cooper e’ fatto cosi’. Chiusura in bellezza con Cold Machines.
Musicalmente rifa’ il verso, in maniera molto migliore, a Marilyn Manson & C. Il tetso e’ una visione cupa (ma va?) del futuro, a base di codici a barre tatuati e cyborg.
In totale, un album strepitoso, finora il mio migliore acquisto del 2000.
Una lezione per chi ritiene che l’evoluzione del metal stia nella commistione di generi improbabili o di innovazione forzata.