Guardando le foto promozionali degli Anima sulla loro pagina myspace, non ho potuto fare a meno di pensare ad una delle miriadi di nuove band fatte in serie, che suonano parti più tirate contrapponendole a quei ritornelli così mielosi e commerciali che vanno tanto di moda. L’ho pensato a causa di quel classico presentarsi con abiti e capigliature stilish e super trendy, scarpette strette, pantaloni attillatissimi, magliette vintage per far vedere che sono comunque un po’ old school, e quegli odiosissimi tagli di capelli emo-oriented che sinceramente non si possono proprio vedere. Invece, signore e signori, mai come in questo caso vale il famoso detto: l’abito non fa il monaco. Eh già, perchè gli Anima non vogliono assolutamente abbassarsi a suonare certe cose così mainstream, ma ci sparano contro un death metal moderno suonato molto bene, sulla falsariga di quello che è stato fatto da gruppi simili quali i Black Dahlia Murder, gli Psycroptic o i Job For A Cowboy. E sfornano un contrattino niente male, nientemeno che con la blasonata Metal Blade, sempre all’erta e pronta ad accaparrarsi le migliori giovani promesse.
Passando all’analisi della musica, abbiamo in mano un prodotto nella media, con degli spunti interessanti per quanto riguarda la produzione davvero potente e cristallina, e la pulizia dei suoni, che non lasciano per nulla scampo. Bravi dunque, se non fosse però per una ripetitività di fondo che in certi frangenti lascia un po’ a desiderare. A mio parere i giovanissimi tedeschi di Nordhausen con questo secondo full-length non sono ancora riusciti a raggiungere un livello di eccellenza per distinguersi dalla massa, senza arivare a toccare le vette compositive di alcuni “colleghi” citati poche righe addietro. Chiaramente non si può certo rimanere indifferenti di fronte alla bontà di alcune delle tracce di questo “The Daily Grind”. In alcuni passaggi la band riesce ad essere abbastanza convincente, mi riferisco a buone songs quali l’opener “Behind The Mask”, dove a spiccare è il lavoro del bravissimo drummer, che raggiunge livelli esecutivi molto alti grazie ad assalti in blastbeat davvero lodevoli. Altra scheggia violenta è la bella “Sitting In The Wardrobe”, che parte velocissima per poi rallentare nel break centrale e riprendere il ritmo iniziale nella parte terminale. Anche “Isolated” è da annoverare fra le migliori del lotto, forse è quella più swedish-oriented delle nove che compongono l’album.
Insomma, un dischetto che spicca soprattutto per come si presenta nella sua forma “esteriore” (suoni e produzione), ma che, pur donandoci una band giovane che avrà sicuramente un futuro roseo se manterrà alti l’impegno e la dedizione, non dona quel “di più” che ci si deve aspettare per emergere da un underground che pullula di nuove band che scalpitano per avere un ruolo di primo piano nella scena. Aspettiamo un nuovo prodotto, perchè voglio che questo tre si possa trasformare in un ben più beneaugurante quattro.