Devastante. Davvero. L’hype che si portava dietro il secondo album degli Antimatter era un fardello gravissimo, eppure “Lights out” e’ riuscito a stupirmi e a soddisfarmi oltre ogni aspettativa!! Il secondo parto della band di Duncan Patterson (ex bassista degli Anathema, autore di gran parte dei loro pezzi migliori, nonche’ principale artefice della direzione musicale intrapresa dal gruppo dopo l’abbandono di Darren White) e Mick Moss (che riesce a rivaleggiare alla pari col suo illustre collega) e’ semplicemente un disco grandioso, e nel mio caso particolare molto probabilmente e’ addirittura il disco dell’anno. Se gia’ “Saviour” (recentemente ridistribuito dopo aver risolto i problemi che c’erano con la vecchia etichetta) era infatti un disco di qualita eccezionale, questo “Lights out” e’ persino superiore, seppure molto diverso (e d’altronde conoscendo chi ci sta dietro non ci si poteva aspettare altro). Ma andiamo con ordine…
Innanzitutto una precisazione: la copia di “Lights out” in mio possesso non e’ quella che troverete nei negozi, ma e’ un’ edizione limitata (comprendente una traccia bonus acustica) che si puo’ ordinare dalla Strangelight Records, etichetta fondata da Patterson, e che io consiglio caldamente a tutti gli appassionati (non solo c’e’ del materiale acustico bonus, ma il costo e’ lo stesso dell’edizione normale, senza contare che questa edizione e’ gia’ disponibile, mentre nei negozi il disco ancora non e’ uscito).
Detto questo iniziamo a parlare piu’ approfonditamente di cio’ che e’ veramente importante: la musica. Cambiamenti, dicevo… “Saviour” ai primi ascolti colpiva per il massiccio utilizzo dell’elettronica, che dominava il lavoro in maniera piuttosto evidente (e faceva da contraltare alle “angeliche” voci femminili), in “Lights out” invece l’elettronica non e’ piu’ cosi’ evidente. Non che non ci sia piu’, anzi, tuttavia essa e’ meno “sfacciata” e domina le atmosfere in maniera piu’ “morbida” (tanto da far si’ che questo disco suoni “caldo”, mentre il precedente risultava invece freddo).
Il secondo elemento caratterizzante del disco precedente era, come accennavo, l’utilizzo delle voci femminili, e anche qua c’e’ stata un’evoluzione… Moss, che in “Saviour” si faceva sentire poco, ha dato molto piu’ spazio alla sua voce sulle tracce di questo disco, e la sua interpretazione calda e un po’ triste porta una nuova atmosfera ai brani (seppur non manchino dei pezzi che dal punto di vista “vocale” seguono la via gia’ intrapresa, come “Expire”). Insomma, “Lights out” suona un po’ come un incrocio tra “Saviour” ed “Alternative 4” ulteriormente rimaneggiato. Ed ora e’ proprio il caso di fare un “track by track”…
Una sirena ci introduce a “Lights out”, opener mutevole ed emozionale, tanto camaleontica da sfuggire quasi alla “forma canzone”. Le atmosfere sono dominate prima da un pianoforte, accompagnato da un po’ di “effettistica di sottofondo” molto soffusa, poi dalle voci, maschile e femminile, che piu’ che cantare sussurrano… finche’ non appare una chitarra acustica che reclama la scena tutta per se’, per poi perderla quando il suo suono viene “eroso” da dei rumori elettronici distorti (nonche’ da un rumore di apparecchiatura elettronica “da ospedale”, il classico “bip bip” che indica il battito cardiaco) che si contrappongono alle due voci, sempre meno “sussurrate”, ma che proprio quando sembrano trovare una forza maggiore si spengono.
E si passa al secondo pezzo. Un pianoforte molto dolce e’ l’unico supporto iniziale alla dolce voce di Mick, che porta con se’ una profonda malinconia accentuata in seguito dalle acustiche e dall’elettronica di stampo settantiano (nonche’ dai controcanti che tesse la voce femminile). Da notare anche il break psichedelico che c’e’ verso la fine della canzone (insomma, anche “Everything you know is wrong” si dimostra un brano poco legato alla classica struttura strofa/ritornello, ma ugualmente riuscitissimo).
La terza traccia e’ “The art of a soft landing”, che forse qualcuno conosce gia’ perche’ era scaricabile dal sito ufficiale. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un brano agrodolce, dove l’accettazione della tristezza si tinge di una malinconia dolciastra (sottolineata ancora una volta da un’effettistica di sapore retro’), resa un po’ piu’ fredda rispetto ai brani precedenti dalla voce femminile. Voce che viene poi accompagnata dalla maschile solo nella seconda meta’ del brano, che richiama tantissimo “Re-connect” di “Alternative 4” nel crescendo di tensione e nell’urlo liberatorio che scaturisce all’apice, per sfociare subito dopo in uno struggente pianoforte.
La successiva “Expire” e’ invece la composizione che ha causato piu’ dibattiti sul forum della band. “Expire” e’ una canzone dal forte gusto trip hop, ricorda piu’ “Saviour” rispetto a quanto sentito finora, almeno nella parte iniziale del brano… Gia’, perche’ ad un certo punto arriviamo ad un giro di note e alla frase “i’ve a solution, final solution”, che vengono ripetute con piccole variazioni per diversi minuti. Questo all’inizio puo’ infastidire, ma dopo poco ci si abitua e lo si apprezza (e lo dice uno che non ha mai retto la lunghissima tirata di “The cry of mankind” dei My Dying Bride, pur apprezzando moltissimo quel brano).
Si torna poi alle atmosfere piu’ tipiche di questo “Lights out” con “In Stone”, altro delicato brano caratterizzato dalla voce di Moss e dal pianoforte, accompagnato da una drum machine (perche’ anche in questo disco ci sono le drum machine, ne dubitavate forse ???) che vena il pezzo. Riferendosi ad “In Stone” non si puo’ poi non parlare della parte centrale recitata, che richiama alla mente l’inizio di “Hope” di “Eternity” (tanto per rimarcare ancora quanto questo disco sia una evoluzione dell’incrocio tra il sound degli Anathema di “Eternity”/”Alternative 4” e gli Antimatter di “Saviour”).
Segue “Reality Clash”, l’unica traccia del disco che non mi ha soddisfatto appieno. Sebbene infatti la parte iniziale sia molto carina, con un’elettronica settantiana dal sapore “spaziale” un po’ triste, quando poi fanno la loro comparsa delle atmosfere “inquietanti” il brano perde un po’, e non si riprende neanche nella parte successiva, dove il basso di Duncan e la voce di Moss, meno agrodolce del solito, si innalzano su tutto il resto. Non che il brano sia brutto, tuttavia rispetto agli altri contenuti sul disco sfigura… Ci si riprende subito pero’ con “Dream”, bellissima composizione piu’ legata alla normale “forma canzone” rispetto a quanto ci e’ stato proposto finora, interpretata da una dolce voce femminile (non molto fredda pero’) che, se gia’ e’ delicata nelle strofe, nel ritornello e’ veramente capace di “accarezzare l’anima”, grazie alle melodie sognanti che tesse (il titolo non poteva essere piu’ adatto) !
Chiude il disco una lunga strumentale… attenzione pero’, lunga ma non noiosa (in nessuna delle sue parti) !!! Per precisare un po’, la prima meta’ di “Terminal” e’ costituita un dolcissimo arpeggio di chitarre acustiche, la serenita’ fatta musica. Il tema viene cosi’ sviluppato, facendo spazio anche alle tastiere, fino a quando non interviene un altro tema piu’ cupo, che si contrappone a quello dolce. Questa specie di alternanza continua come in un duello, e quando la parte piu’ dolce e fragile sembra soccombere di fronte alla pesantezza della parte piu’ cupa appare di nuovo il rumore “dell’apparecchiatura del battito del cuore”, che rimane anche quando tutto il resto scompare, a testimonianza che la vita, finche’ dura, e’ una continua mescolanza di chiari e scuri (e questo e’ un po’ il concept di tutto il disco, reso perfettamente anche dalla copertina, con la sua luce fioca che irrompe nel buio).
Finisce qua il disco normale, non quello in edizione limitata pero’… i fortunati possessori di quest’ultima versione infatti possono infatti gustarsi anche una bellissima rilettura acustica di “Everything you know is wrong”, rilettura che accentua ancora di piu’ i toni agrodolci, nonche’, come ghost track dopo diversi minuti di silenzio, un’altra rivisitazione acustica, questa volta di “In Stone” (molto piacevole, seppure meno riuscita della prima, che infatti, a differenza di questa, e’ messa in tracklist).
Ci sarebbero tante altre cose da dire, si potrebbe parlare dei testi che sono perfetti per questo disco, si dovrebbe parlare della capacita’ di questo disco di catturare fin da subito, eppure di crescere dopo ogni ascolto, ma non e’ il caso… Penso che da queste righe traspaia gia’ molto (se non altro si nota l’abbondanza, quasi fastidiosa, dei superlativi)…
“Lights out” e’ un disco stupendo, lo ripeto, forse e’ il disco dell’anno. Non e’ piu’ metal, non e’ piu’ gothic, non e’ piu’ elettronica… e’ musica. E se siete capaci di apprezzare un disco che chiaramente proviene dal cuore, un disco dolce e triste allo stesso tempo, non dovreste privarvi di questa manciata di canzoni…