“Planetary Confinement” è un disco particolare per gli Antimatter. Particolare non per i luoghi comuni sul “terzo disco che mostra il reale valore di un gruppo”, ma per tre (sì, proprio tre) diversi motivi. Per prima cosa è un disco acustico per precisa scelta artistica, anche se in realtà Patterson non ha rispettato del tutto il proposito di evitare l’elettronica (componente molto importante dei precedenti lavori della band), poi è in realtà l’unione di due “split” realizzati separatamente (Moss e Patterson hanno inciso i brani ognuno per conto proprio avvalendosi anche di diversi musicisti, poi hanno realizzato la tracklist finale alternando le proprie composizioni) più che un vero album, infine è l’ultimo lavoro degli Antimatter con Patterson in formazione. Il buon Duncan ha infatti deciso di lasciare la band con il proposito di dedicarsi ad una musica meno negativa (sembra che voglia dare alla sua vita una svolta “positiva” in senso generale), per cui gli Antimatter ora restano a Moss, che progetta di realizzare il prossimo album con la collaborazione di Danny Cavanagh (ironia della sorte, Duncan se ne va proprio quando arriva Daniel). Immagino già la disperazione di molti per questo abbandono, ma personalmente non sono troppo affranto. Se infatti già in “Lights Out” i pezzi scritti da Moss mi erano sembrati migliori di quelli scritti da Patterson, ancora di più in questo “Planetary Confinement” trovo che il lavoro di Moss sia più riuscito di quello del compagno (e magari un cambiamento farà bene alla vena creativa di Duncan). I pezzi di Moss sono infatti quattro belle canzoni semplici ma molto efficaci in cui la sua voce e la sua chitarra acustica sono in primo piano, con alcune apparizioni di violini ad impreziosire il tutto. Nel quartetto di canzoni in questione (tutte caratterizzato da una calda tristezza di fondo e dalla capacità di toccare l’animo dell’ascoltatore) particolarmente degne di nota sono “A portrait of the young man as an artist” e soprattutto la lunga “Legions” (che era stata presentata come preview dell’album diverso tempo fa), senza però nulla togliere ad “Epitaph” e “The weight of the world”, brani comunque capaci di incantare. Per quanto riguarda le canzoni di Patterson invece il risultato, come dicevo, non è sempre all’altezza di quanto fatto da Moss. Come ci si poteva aspettare, ancora una volta i pezzi di Duncan sono più sperimentali e meno legati alla forma canzone rispetto a quelli del compagno (inoltre sono interpretati da una voce femminile che, seppur bella, nel contesto acustico del disco rende di meno rispetto alla calda voce di Mick), purtroppo però sono anche un po’ altalenanti. Mentre infatti la dolente cover di “Mr. White” dei Trouble e soprattutto l’amareggiata ed ipnotica “Relapse” sono brani degni di Duncan, tuttavia “Line of fire” colpisce un po’ di meno (pur non essendo un brutto pezzo) e soprattutto “Planetary Confinement” e la lunghissima “Eternity part 24” (scritta, pare, ai tempi degli Anathema) sono la prima un’intro un po’ troppo scialba che non apre degnamente il disco e la seconda una composizione pretenziosa che non chiude degnamente il disco con le sue non troppo riuscite divagazioni ambient.
Globalmente comunque “Planetary Confinement” è un disco bello e meritevole di ascolti, un lavoro come non ne escono tanti. Certo, non è il capolavoro degli Antimatter, ma è a livelli che una band normale difficilmente raggiunge e non dovreste lasciarvelo sfuggire se vi piace questo genere di musica (che, diciamolo, anche se forse possiamo parlare un po’ impropriamente di “gothic” in senso lato, con il metal ha come unico legame la presenza di Patterson, che in passato ha realizzato dischi di questo genere). Insomma, “Planetary Confinement” è uno dei migliori lavori dell’anno anche se, già che siamo in tema di dischi extra metal degni di finire nella top five del 2005, in questo periodo si contende il lettore cd con l’altrettanto notevole “Catch Without Arms” dei Dredg (che in questa maniera sono riuscito a consigliarvi…).