Ad un solo anno di distanza dal precedente “Purification” tornano gli Anubis Gate con un nuovo album, “A perfect forever”. Come ogni band power metal che si rispetti questi cinque ragazzi non si allontanano più di tanto dagli standard classici del genere, tuttavia riescono ad impreziosire i dieci pezzi che compongono questo lavoro con orchestrazioni quantomeno interessanti e con melodie che arrivano a spezzare il più delle volte la monotonia di un genere che dopo un po’ non ha più molto da dire. La musica proposta dal combo danese è un gradevole mix tra il sound tipico degli Iced Earth e dei Savatage unito a sonorità progressive care ai Fates Warning e ai Queensryche. E, in effetti, durante lo scorrere dell’album si notano molto spesso influenze di puro heavy metal anni ottanta/novanta unitamente ad una vena progressive dai caratteri piuttosto oscuri, tipica di molto band moderne. Come già il nome del gruppo lascia intuire gli Anubis Gate farciscono le proprie composizioni con una forte componente musicale di matrice orientale realizzata sia con l’ausilio di massicci tappeti di tastiera, che rendono i pezzi molto maestosi, sia con riff di chitarra alternati ad arpeggi melodici di notevole fattura.
Nonostante un ascolto non molto attento possa far brillare al miracolo, in realtà questo disco presenta alcune piccole pecche, una tra queste è proprio una certa mancanza d’originalità: non bastano, infatti, continui stacchi e cambi di tempo, alternati a parti melodiche e meno heavy per rendere un album interessante. “A perfect forever” si rivela quindi un disco con brani davvero curiosi come l’opener “Sanctified”, la veloce ed oscura “Future without past”, oppure la lunga “Children of the pauper king” che si rivela come uno degli episodi più complessi e tecnici dell’intero album, mentre “Curfew” introdotta da un malinconico arpeggio di chitarra, ci svela una ballad davvero ben realizzata. Purtroppo, durante lo scorrere del disco, prendono piede alcuni brani piuttosto anonimi ed incolore un esempio su tutti è “The wanton blades of lust”, dai riff davvero cattivi ma senza spunti interessanti; altro brano piuttosto inutile è “Epitome of Delusion” che alterna, con risultati piuttosto scarsi, parti melodiche e dolcissime a momenti più cattivi e cadenzati in pieno stile Iced Earth fino ad arrivare alla lunghissima suite finale, che ispira il titolo dell’album: questo brano si rivela ricco di istanti davvero interessanti, ma purtroppo i danesi cercano di mettere troppe cose all’interno della canzone cosa che alla fine stanca molto l’ascoltatore.
Insomma, i presupposti per un buon album ci sono tutti e “A perfect forever” nonostante alcuni scivoloni si dimostra un lavoro decisamente sopra la media che potrebbe fare la gioia di quelli che amano sonorità tipicamente heavy e prog. Ad ogni modo consiglio un attento ascolto in colonnina dal vostro negoziante di fiducia prima dell’acquisto del disco, che potrebbe non piacere a tutti.