Potere al volere o volere al potere fa poca differenza per Gli Arr Jam.
Il gruppo, infatti, nasce per volere del potere della musica.
Musica senza frontiere, esattamente come I loro orizzonti musicali e le loro capacità eccellenti, sotto tutti I punti di vista, strumentali e vocali. Non sono collocabili in un genere particolare poiché la loro formazione vede diversi componenti che, attraverso il loro incontro, danno vita a jam session, per l’appunto, che mischiano fusion, prog , picchi di power e mescolano sapientemente con una buona dose di hard rock e rock blues, sempre aperti a nuove conoscenze e a nuovi contributi di altri artisti . Insomma che volere di più? Alcuni potrebbero storcere il naso davanti ad un tale calderone e invece, credetemi, questo disco se ascoltato più volte, porta vibrazioni e atmosfere sempre nuove, non annoiando l’ascoltatore ma , al contrario, creando una atmosfera mai sopra le righe, o fuori dal contesto rock e metal, trascinandolo, anzi, elevando a quel fusion metal così tanto bizzarro ma anche così a modo suo elegante, sofisticato e affascinante grazie alla sua colorita e stravagante espressività.
Session One è una esplosione talvolta frizzante, energica e martellante , talvolta tribale ed ipnotica di track strumentali e complete di voce, rappresentata dal cantante Got, che ricorda molto le voci sia di KalusMeine , in particolare nei toni alti e negli scream , sia quella di Harald Tusberg nei pezzi più profondi, lenti e ‘teatrali’ come ad esempio in Vorrei, pezzo davvero interessante, fuori dagli schemi , che spacca magicamente sia lo strumentale che il cantato sorprendendo l’ascoltatore. Il full lenght, composto da dodici track, è influenzato notevolmente dalle fonti ispiratrici quali RHCP, Primus, Robben Ford ma , personalmente, sento anche una certa spigolisità eclettica dei Voivod. Per essere un’ auto-produzione è davvero ottima ed i componenti, per saper unire tali generi , hanno sicuramente lavorato sodo per arrivare a comporre un album così.
L’idea che da Session One è quella di essere stato composto in modo sperimentale , ma di aver curato man a mano I dettagli dell’album stesso, senza lasciare nulla al caso, ovvero una vera è propria improvvisazione impreziosita e perfezionata. Unico difetto da riprendere : la pronuncia inglese nel cantato. In alcuni pezzi scorre tutto armoniosamente, pronuncia compresa, in altri la cura non è stata eccellente e si sentono piccole inesattezze che rendono un po’ italianizzate certe parti. Ma niente paura, nonostante questa piccola critica è un ottimo debutto e soprattutto un’ottima idea ascoltarli e apprezzare tutte le qualità di questi validi artisti.