Si chiamano Astarte Syriaca e sono il nuovo volto della musica prog-metal italiana. Nascono nel 2003 e fin da subito possono contare sul valido aiuto di Gabriele Valerio, già batterista dei Theatres des Vampires. Il loro lavoro è un ottimo album, che mette in piena mostra la volontà della band di rientrare negli schemi di un genere musicale complesso e forse proprio per questo spesso poco considerato dalle masse, eppure anche una ricerca di novità, di differenziazione dalla consuetudine musicale. Una ricerca d’identità insomma. Riuscita? Ni. Nel senso che le composizioni sono creative e particolari, ma le influenze dei mostri sacri del genere sono ancora troppo forti in diversi tratti. Dream Theater ovviamente su tutti ma non solo. Ne esce nonostante tutto un lavoro coordinato e curato, che forse si lascia solo un po’ andare in alcuni tratti in cui le tastiere prendono il sopravvento su tutto e tutti, creando spezzoni di brani più simili a colonne sonore da videogames che a brani metal. Si tratta però di piccolissime parentesi in un mare di buona musica e idee vincenti. Idee che se portate avanti potranno contribuire a far balzare agli onori della cronaca musicale i capitolini. Soprattutto se la Lost Sounds Records continuerà a supportarli in questo modo. Il lancio del nuovo lavoro è infatti stato massiccio da parte della label, che mostra di credere fermamente in questi cinque musicisti.
Nove tracce per un totale imponente di oltre un’ora di musica, con punte di tredici minuti della fin troppo leziosa Dreaming, in cui va segnalato oltre ad un solo di tastiere forse troppo prolungato, uno splendido spezzone di sola voce accompata da pianoforte prima e chitarra poi, e gli undici di Sole Ombre, che si apre a mo’ di “Eyes of the Tiger” di ottantiana memoria (il primo mitico Rocky non si scorda mai”!) per poi proseguire ancora una volta sulle ali delle tastiere che sembrano vento tra i rami di basso, chitarra e batteria, che aspettano un po’ prima di entrare in scena. Minuti e minuti di musica che precedono una lettura in italiano di una dichiarazione struggente e decadente che sembra portarci indietro nel tempo, in un vicolo buio, con una persona disperata accanto che cerca di confidarsi con noi.Un assassino? Un fuggiasco? A voi la scelta.Geniale, nonostante il finale a base di carrillon e musica da circo forse un po’ slegato dalla composizione con tanto di confessione precedente.
Un mix di chitarra e musica quasi funky invece sono i protagonisti di Earth Spirit, quasi dieci minuti di musica piacevole, in cui la voce fa il suo ingresso discreto quasi non volesse interrompere tanto idillio che spazia da tratti rapidi a bruschi rallentamenti, fino all’esplosione, quando il singer torna al suo posto, viaggiando da note quasi da Iced Earth a frasi quasi sussurrate, per donarci quello che forse è il vero brano simbolo dell’intero cd.
Dovranno evitare la ridondanza, cui spesso si è tentati di tuffarsi quando si suona prog e che anche qui fa capolino più di una volte,evitando di creare brani di pura leziosità fine a se stessa, buona per far esprimere ai professionisti della musica “cavolo ma questi ci sanno fare sul serio” ma che alla lunga stancano l’ascoltatore che ricerca solo una buona composizione e non per forza di cose la tecnica pura (di cui indubbiamente questi ragazzi non difettano assolutamente).Un buon inizio per una band che da cinque anni, dunque dalla fondazione, non si è mai fermata, portando avanti una costante ricerca musicale.