Ed ecco che dopo Red Album, arriva Blue Record. Sorella, figlia, non saprei, in ogni caso seguito del debutto dei Baroness, gruppo che arriva dal profondo sud degli Stati Uniti.
Sludge metal e al tempo stesso progressive, mi dicono, ma a mio avviso anche old school metal con tante nostalgie punk. Difficile definirli. Non male, anche se dopo l’ascolto iniziale li avrei bocciati, soprattutto per la voce che non mi convince né per tecnica né per cattiveria. Mi sono però dovuta ricredere perché la parte strumentale compensa ampiamente.
La cosa strabiliante è la copertina, in stile “Liberty” sulla scia del predecessore, giustamente dai toni blu anziché rossi, ma non sapevo che le facesse di suo pugno proprio il vocalist/chitarra John Baizley! Maestria artistica che non si può fare a meno di notare ed apprezzare, per quanto poco c’entri con la musica metal. In apparenza. Però all’osservatore attento non sfuggirà come l’immagine ricca, traboccante di particolari e curvature, in qualche modo richiami anche il particolarissimo stile musicale. Si passa dall’old school hard rock di Jake Leg, ai cori stile Queen all’inizio di Steel That Sleeps The Eye, al riffing elementare e ribelle di Swollen and Halo, al country style di Blackpower Orchard che però è troppo breve da gustare…
Esce poi tutto lo sludge nella strumentale Ogeechee Hymnal, che però non sboccia ma sfiorisce in A Horse Called Golgotha, troppo ripetitiva anche se apprezzabile il tentativo di sembrare un impromptu da concerto live. In generale colpisce la moltitudine di pezzi interamente strumentali o con pochissimo cantato, anche la sludgy Bullheads Lament in chiusura e The Gnashing subito prima. Scelta un po’ progressive in effetti, ma limitante però, a meno di incantare veramente l’ascoltatore con le composizioni.…
Mi rincresce non conoscere meglio il gruppo, né poter ad oggi leggere i testi, per poter capire meglio i loro intenti. Direi che debbano migliorare molto sul cantato e poi trovare e sviluppare bene, una direzione.
Speriamo solo non sia il punk!