Sono passati cinque anni dall’ultimo album firmato Behemoth “Evangelion”. Anni in cui Adam “Nergal” Darski affronta la sua malattia ovvero la leucemia, dopo un ricovero nel 2010. Anni in cui la band si ferma quasi totalmente e tutto viene concentrato sullo stato di salute del frontman. Sono gli anni della stesura dell’ultimo tanto agoniato e atteso album, di una band che nutre più di vent’anni di carriera ed esperienza sulle spalle , una delle band capostipite del black metal. Così detto e fatto il sette febbraio 2014 esce ufficialmente “The Satanist”, il lavoro più controverso ed evocativo in assoluto di tutta la storia dei Behemoth.
L’etichetta resta il colosso Nuclear Blast, ma le vicissitudini dei produttori cambiano partendo inizialmente da Colin Richardson. Dopo quattro settimane di tentativi di mixing la band non si trova d’accordo su alcuni concetti che vogliono esprimere. Il timone della produzione passa dunque a Matt Hyde (Slayer, Hatebreed, Children Of Bodom) ecco spiegato il perché vi è anche un tocco decisamente death-tecnico unito alle sonorità black metal che siamo abituati a sentire dei Behemoth. La matrice fondamentale evocativa di The Satanist, parte dalla realizzazione dell’artwork. Disegnato dal pittore simbolista russo tale Denis Forkas, si dice che all’interno dell’opera vi siano mescolate alcune gocce di sangue di Nergal, insieme ai colori che compongono l’opera, per darle una sensazione più organica ed allusiva possibile. Inutile dire che in tutto questo i Behemoth sono dei veri maestri, nell’evocare le trascendenze maligne come servitori del demonio, pur dissociandosi ai diversi tipi di religione e vivendo nel paese più cattolico d’Europa come la Polonia. Essi stessi affermano che il loro intento è quello di trasformare la tristezza che riempie questo disco in positività e materia di rinascita spirituale e mentale che si ricava appunto dal song writing di cui è composto l’album.
“Blow Your Trumpets Gabriel” è il brano di apertura e primo brano estratto dall’album già nei primi di dicembre 2013, di cui viene fatto il video ufficiale di due versioni, una censurata e una ovviamente riadattata. Un brano potente, oscuro e con le atmosfere che ricordano vagamente quelle dei colleghi svedesi Watain e che offre un incipt in cui viene commemorato un brano biblico che si riferisce a Sodoma e Gomorra: “Hosanna, Hosanna, let wine ov Sodom fill our mouths. Hosanna, Hosanna may sin ov Gomorrah grace our hearts….” Arricchita poi con cori spettacolari e riff corposi, tutto ad indicare che i tre servitori del maligno sono tornati più forti che mai. “Furor Divinus” è il brano che richiama l’attenzione del death tecnico per eccellenza. Una scelta comunque ragionata quella di inserire un brano con queste melodie tecniche, giusto per staccarsi un momento dal classico black dai suoni glaciali ed epici e buttarci dentro un po’ di cattiveria in più che non fa affatto male. Il 28 gennaio 2014 la Nuclear Blast pubblica il secondo singolo estratto su youtube ovvero “Ora Pro Nobis Lucifer”, che fa più di 80.000 visualizzazioni nell’arco di pochi giorni e terzo brano dell’album. La dimostrazione che lo spirito evocativo di Nergal e soci non si è spento è derivante proprio con questo brano. La bravura eccezionale di portare riff accattivanti sull’ orecchiabilità quasi immediata, non si fa attendere. E il vero protagonista resta Inferno, il batterista che viaggia alla velocità più estrema che ci si può aspettare nel black metal con i blast-beat che ci offre in un brano come questo, il culto del Serpente. Vi sono poi brani come “The Satanist” e “Ben Sahar” in cui vi si può contemplare tutto il pathos onirico, epico e il fervore della dedizione ad offrire un impatto sempre più devastante, dai riff scomodi e impegnativi. Ma è negli ultimi due brani “In The Absence Ov Light” e in “O Father O Satan O Sun!” che scopriamo le carte degli intermezzi semiacustici, recitati e quasi parlati, un profondo richiamo al signore Oscuro e imperturbabile, l’Angelo della Luce che si ribella, a Lucifero.
Vi sarebbero molte altre cose da dire su questo album, che sarà sicuramente discusso e si aprirà senza dubbio la diatriba tra chi è pro e contro, ma di sicuro il signor Adam Darski vuole dirci che i Behemoth non sono morti, anzi. Dopo una lunga assenza dalle scene resuscitano, se così si può dire, con una nuova interfaccia, con una motrice emotiva senza precedenti e una maturità che va ben oltre le aspettative, per poter affermare che questo è l’album più evocativo, ragionato e sensato di tutta la storia della carriera dei Behemoth.
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