I Bejelit sono una realtà ben consolidata nel panorama del metal italiano, questo è un dato di fatto. Il semplice risultato di essere arrivati al terzo album in studio fa riflettere sulla questione di quanto il metal italiano sia scarsamente seguito dai fan, pur avendo dalla sua band di qualità eccelsa come, appunto, i Bejelit. In occasione di un loro concerto, abbiamo intercettato il chitarrista Sandro Capone, il quale si è volentieri sottoposto alle nostre domande svelando quello che è il suo pensiero sulla propria band, ma anche su argomenti di natura più generale. A voi la lettura di questa piacevole chiacchierata.
Allora, inizierei chiedendoti di raccontare la storia della band: quando, come e perché sono nati i Bejelit?
I Bejelit si sono formati intorno al 2000 per puro divertimento ed i membri della formazione iniziale che sono tuttora nel gruppo sono Fabio ed io. Diciamo che abbiamo iniziato come tante altre band: non sapevamo cosa fare al pomeriggio ed abbiamo deciso di tirare su un gruppo e suonare il genere di musica che ascoltavamo, cioè il metal. La differenza sostanziale è stata che noi fin dalla prima prova ci siamo messi a fare cose nostre, pur non partendo con questo obiettivo, ma vedendo che a fare cover non provavamo il gusto che invece proviamo a fare pezzi nostri.
È poi successo che, andando avanti col tempo, abbiamo messo in piedi 2 o 3 pezzi e registrato una prima demo la quale, però, non ha mai avuto nessun futuro (non l’abbiamo nemmeno messa in giro, figurati!) in quanto abbiamo poi anche cambiato nome, oltre ad un paio di membri della band. Questa demo ha però attirato l’attenzione di Giorgio, il nostro attuale bassista, e di mio fratello che suonava già in un altro gruppo, i Pandaemonium.
Da quel punto la cosa è diventata sempre più interessante e, in generale, ci siamo resi conto che alla gente piacevano le nostre canzoni, così abbiamo inciso una demo di 6 pezzi, “Bones & Evil”, aggiungendo 3 pezzi a quelli già presenti all’interno della prima demo. Fatto questo abbiamo spedito a varie riviste il nostro prodotto ricevendone Top Demo qua e là e così ci siamo resi conto che forse stavamo facendo qualcosa di veramente interessante. Tieni conto che noi all’epoca non conoscevamo niente dell’underground e non eravamo affatto nel giro, complice anche il fatto che viviamo in una città (Arona, in provincia di Novara, nda) che non è Milano e quindi non abbiamo mai frequentato gruppi o cose simili. Insomma, di punto in bianco ci siamo ritrovati con questi commenti molto positivi che, da un lato ci hanno sicuramente spronato ad andare avanti e dall’altro ci è arrivato subito un primo contratto, quello con la Underground Symphony. Questa situazione si è protratta per alcuni mesi per poi interrompersi e sfociare in un contratto con l’appena nata Battle Hymn Records, la quale ci ha fatto uscire il disco.
Ecco, questa è la storia di com’è nata la band, non voglio dilungarmi oltre perché rischierei di fare un’intervista solo su questo, eheh!
Invece facciamo un salto avanti nel tempo rispetto agli esordi: l’ultimo disco.
L’ultimo disco nasce ancora quando c’era in formazione Tiberio Natali, nostro ex cantante, ma si trattava di cose in stato ancora embrionale. Concluso “Age Of Wars” e relativo tour promozionale, ci siamo messi a lavorare sui pezzi nuovi ed abbiamo constatato che non ci trovavamo musicalmente bene. Da qui la decisione di cambiare cantante ed abbiamo ritrovato Fabio, con il quale ci siamo messi a completare il materiale che avevamo a disposizione e a scriverne di nuovo. Dopo di ciò ci siamo avviati verso la prima pre-produzione e poi verso l’effettiva registrazione del nuovo lavoro. Il disco ha avuto un parto molto lungo perché, appena tornato Fabio, abbiamo ricominciato a far date, e le date portano via tempo. Quindi possiamo dire che la gestazione di “You Die And I…” sia durata quasi 3 anni in quanto comunque non abbiamo avuto fretta di finire le cose, visto che abbiamo preferito fare tutto come piaceva a noi, in particolar modo la fase di mixaggio, che ha portato via parecchio tempo.
Per quanto riguarda i testi cosa mi puoi dire?
I testi sono nati solitamente dopo la musica e sono legati da una sorta di filo conduttore che è poi l’atmosfera che permea tutto il disco, cioè legata alla morte, però guardata da punti di vista non per forza macabri: c’è la morte vista dall’aspetto psicologico, la morte interiore e così via, insomma. In realtà la particolarità di questo disco è che ogni canzone è una storia e quindi non c’è un collegamento vero e proprio tra le varie canzoni.
Le uniche pecche che ho riscontrato nel disco e che ho sottolineato anche in fase di recensione sono che ho trovato le chitarre relegate a volumi un po’ troppo bassi e la batteria caratterizzata da un suono fin troppo “freddo”, se mi concedi il termine. È stata una scelta voluta?
Assolutamente si. Mi spiego meglio: in questo disco volevamo avere assolutamente la voce in primo piano ed il fatto di avere le chitarre in secondo piano è stata una scelta compiuta sia per avere un suono che ci caratterizzasse il più possibile, sia per mettere in risalto quello che ritengo essere uno dei punti forti della band, cioè proprio la voce di Fabio. Ovviamente quando le chitarre si devono sentire, per esempio nei soli, le abbiamo messe in evidenza, ma abbiamo appunto privilegiato la voce nel resto delle situazioni. Se vai a sentire con attenzione l’album, in certe canzoni abbiamo anche usato degli strumenti particolari come le maracas (!) ed il synth, ma si tratta comunque di inserti a sé stanti.
Per quanto riguarda il discorso della batteria, abbiamo voluto fare l’esatto contrario di ciò che era stato fatto su “Age Of Wars”. In quel disco, infatti, era troppo calda, quasi anni ’80 a livello di suoni e sinceramente non ci aveva soddisfatto, complice il non aver registrato nei nostri studi perché ancora non esistevano. Non che dicendo questo voglia rinnegare quanto fatto in passato, ma semplicemente abbiamo analizzato la situazione ed evoluto il nostro sound.
Che responsi avete avuto fino adesso sia dal pubblico che dalla stampa?
Anche se è uscito da pochissimo, devo dire che fino adesso è piaciuto molto, sia in Italia che all’estero ed abbiamo ricevuto parecchi contatti da singole persone che ci scrivono entusiaste del disco, soprattutto da altri Paesi. Per quanto riguarda la fase live, questo è stato il primo concerto in assoluto dopo l’uscita del cd (l’intervista si è svolta il 19/03/2010, nda), quindi è ancora presto per fare bilanci, ma non mi sembra sia andata male.
Rispetto alle recensioni, siamo molto contenti perché tutti hanno notato cose molto simili, come per esempio il fatto che sia difficile accostarci ad altre band e questa è una cosa di cui andiamo abbastanza fieri nel senso che, se fossimo stati paragonati a qualcun altro, non avremmo fatto nulla di nuovo. Quello che, appunto, ci hanno detto in molti è che noi facciamo sì heavy metal, ma in maniera differente dagli altri, ecco. Questo è certamente dovuto al fatto che non siamo una one-man band, ma cinque teste pensanti che cooperano tra di loro ai fini del risultato complessivo.
Voi, come altri gruppi heavy metal e non, siete appassionati di fumetti manga, Berserk in particolare. Eppure mi pare che in “You Die And I…” non ne facciate particolare riferimento, forse soltanto in “Shinigami”…
“Shinigami” è tratta da Death Note. Quando abbiamo iniziato a pensare al nuovo album non volevamo prendere le distanze da Berserk e, di fatto, questo non è avvenuto. È solo successo che abbiamo scritto una canzone che non trattava l’argomento, poi due, poi tre e così via e, finito il disco, ci siamo resi conto che non avevamo nemmeno un pezzo su Berserk, eheh! “Shinigami” è l’unica basata su un fumetto che, appunto, è Death Note e di cui è appassionato Daniele (Genugu, chitarrista, nda), ma in futuro non ti so dire se andremo ancora a prendere ispirazione dai fumetti oppure no, è ancora troppo presto.
Ecco, ma invece com’è nata in voi la passione per i fumetti?
Tutto è nato da Fabio. È lui che era appassionato di Berserk e, quando abbiamo fondato il gruppo, una delle prime canzoni che abbiamo scritto è stata “Bloodsign” che, appunto, parla di Berserk. Da lì in avanti è venuto tutto di conseguenza: fare altre canzoni su Berserk, fare un demo su Berserk e poi far ruotare attorno a Berserk il concept lirico della band fino al chiamarci Bejelit (ciondolo magico col potere di evocare la Mano di Dio, nda). In ogni caso i veri fanatici di fumetti all’interno della band sono Fabio e Daniele, mentre io, mio fratello e Giorgio, pur avendone letti, lo siamo molto meno.
Voi avete suonato anche in occasione del Lucca Comics & Games. Cosa ricordi di quella situazione che, tutto sommato, è abbastanza distante da quella di un musicista metal?
Vi abbiamo suonato per ben due volte: la prima nel 2006 con il precedente cantante e la seconda quest’anno. Si è trattato di un’ottima esperienza, soprattutto durante la manifestazione di quest’anno, durante la quale si è festeggiato il ventennale di Berserk. Quindi è successo che il primo giorno abbiamo fatto uno show acustico di presentazione del nuovo album, una cosa un po’ più intima, insomma, mentre il giorno successivo si è trattato di un concerto vero e proprio. Si è trattato, in realtà, di un inserimento di un piccolo festival metal all’interno di Lucca Comics, visto che eravamo tre gruppi a suonare, e l’obiettivo era quello di portare un po’ di musica “diversa” in quell’ambiente.
Avete anche suonato al MetalCamp, festival piuttosto rinomato in ambito europeo. Com’è andata?
Guarda, è stato bellissimo. Attualmente è una delle esperienze più belle che abbiamo fatto, anche perché è un palco enorme ed avere accanto a noi nomi di un’importanza colossale è una bella evoluzione. Però anche a livello di professionalità dell’organizzazione, abbiamo potuto toccare con mano come funziona il tutto, visto che si tratta appunto di una macchina organizzativa non indifferente. Quello che è stato molto bello è che non eravamo affatto intimiditi da una situazione che avrebbe potuto spiazzare chiunque, ma eravamo pronti a rifare tutto subito, ahah! Non ultimo, c’è stata anche la possibilità di vedere come reagisce il pubblico europeo all’interno di contesti diversi dal solito locale e devo dire che la risposta in questo senso è stata estremamente calorosa, per fortuna.
In occasione del nuovo album, avete firmato un contratto con la Punishment 18 Records. Come siete entrati in contatto con la label biellese e come vi siete trovati finora?
Circa tre anni fa avevo iniziato un’esperienza di un’etichetta discografica con la quale avevo fatto 4 o 5 produzioni ed in quel periodo ero entrato in contatto con Corrado di Punishment 18 per alcune collaborazioni. Chiuso il discorso dell’etichetta, il contatto è comunque rimasto e Corrado è sempre stato interessato a ciò che facevamo, fino a voler sentire il promo che stavamo facendo girare tra le varie etichette. Da lì poi ci è arrivata la proposta di contratto che, lo ammetto, ci ha un attimo stupito visto che le sonorità di cui si occupa di solito sono più thrash e death, mentre noi non vi rientriamo. Da parte sua c’è stata e c’è tuttora la volontà di allargare i propri orizzonti, infatti, dopo di noi, ha messo sotto contratto anche i Los Pirates di Bergamo, per esempio.
Hai tirato fuori una questione, a mio giudizio, interessante: come definiresti il vostro sound?
Le parole giuste sono heavy metal a cui aggiungerei un aggettivo melodico, perché comunque siamo molto melodici. Nella fattispecie di quest’ultimo disco, ritengo che il nostro sound sia molto emozionale, cioè che sia i testi che le musiche vadano a toccare le corde dell’animo. In questo senso ci tengo particolarmente a sottolineare l’importanza delle liriche, a cui noi teniamo moltissimo e che in “You Die And I…” rivestono un ruolo complementare con quello della musica.
Facendo un salto indietro nel tempo, come giudichi le vostre uscite precedenti?
Beh, sicuramente qualcosa lo rifarei in altra maniera, ma quello è normale. C’è da dire che, al momento in cui sono stati rilasciati i nostri dischi, siamo sempre stati soddisfatti in quanto le nostre capacità, in quel dato momento, erano quelle, per cui meglio di così non era per noi possibile fare. L’unica cosa che potrei dire è che, se rifacessimo adesso determinate canzoni, magari potrebbero suonare con una qualità differente e migliore. Per esempio “Age Of Wars” lo stiamo pian piano ri-registrando tutto con Fabio.
Voi vivete dall’interno la situazione dell’underground italiano. Come vedete tale situazione? C’è speranza o è già tutto andato a farsi fottere?
No, la speranza c’è. Dipende dalla collaborazione tra i gruppi, che sembra una cosa scontata, ma non lo è affatto. Quello che succede è che si fa la “guerra del nulla” perché siamo qui a fare ognuno il proprio meglio e sembra quasi che affossando gli altri sali di più tu. Alcune volte ci è capitato di avere a che fare con persone che, per invidia, ci hanno sabotato e dispiace, perché comunque viene a mancare questa collaborazione che dovrebbe essere alla base della scena underground.
L’altro fattore è il pubblico: in Italia la gente, per vedere concerti underground, fa una grandissima fatica a muoversi. Coloro i quali si spostano sono dei veri e propri irriducibili che ancora ci tengono a voler sentire qualcosa di nuovo, mentre gli altri, se non c’è il supergruppo non si muovono. Diciamo che, forse, la mentalità è un po’ quella del “vado a vedere il concerto per il gruppo” e non quella del “vado al concerto per l’atmosfera che si respira”. E questo è un brutto segnale, secondo me. Inoltre mancano anche i ritrovi: di locali ce ne sono pochi e moltissimi stanno chiudendo.
Bene, ti ringrazio molto per il tuo tempo ed ancora complimenti per il lavoro svolto su “You Die And I…”.
Grazie a te ed a tutti quelli che hanno avuto voglia di arrivare fino a questo punto dell’intervista, eheh!