A differenza del primo album, “Diary Of A Blind Angel”, i Black Jester con questo
secondo lavoro ci propongono un metal progressive molto più vicino ai Dream Theater
in cui vengono messi in risalto forti virtuosismi, in particolare tra tastiere e
chitarre. Il lavoro è decisamente di buon livello, supportato da dei musicisti di indubbio
valore anche se il cantante, data l’aggressività virtuosistica dei brani, risulta un po’
fuori luogo nonostante si discosti da un cantato alla Jon Anderson, come invece era nel precedente
lavoro.
Ad ogni modo la componente sinfonica non è stata assolutamente eliminata ma, anzi ottimamente
inglobata in una musica più aggressiva come nella iniziale “The Labyrinth” e nella successiva “Mirror Song”;
una sorta di Dream Theater sinfonici con imponenti orchestrazioni e riff che, nella parte centrale della seconda traccia,
si fanno più marcatamente power. I continui cambi di tempo inoltre rendono il brano assolutamente
imprevedibile passando da atmosfere sinfoniche, lente ed evocative, ad atmosfere veloci e
fortemente metalliche.
L’album presenta dei momenti più dolci e melodici nella ballata “The Wayfarer” che è più una
canzone rock progressive che metal prog ma che ho trovato buona nelle idee ma non efficace nell’insieme,
mentre la successiva traccia, “Glance Towards The Sky”, ci ripresenta un mix di musica orchestrale e di power
veramente efficace che rendono il brano fortemente melodico ma allo stesso tempo aggressivo;
peccato però per il cantato che non riesce ad essere incisivo e ispirato nei brani più veloci e aggressivi. Discorso opposto invece, nei brani lenti e più atmosferici in cui Alex D’Este riesce ad adattare meglio la sua fine voce.
L’unico brano strumentale dell’album, che fa più che altro da intermezzo, è sullo stile di
una colonna sonora di un qualche colossal holliwoodiano; carina ma nulla di più.
Si arriva così al vero gioiello dell’album “Symphonies Of Immortal Winds”. Brano che anticipa quello che
sarebbe poi diventato una “moda”, ossia il power prog sinfonico. Il brano è in assoluto il più
riuscito sia dal livello compositivo che esecutivo dove le tastiere tessono un tappeto alle chitarre
riuscendo a coprire le pecche vocali del cantante.
L’ultima traccia è quella che dà il titolo all’album, “Welcome To The Moonlight Circus”, e che in
seguito darà il nome al gruppo che deriverà dalla scioglimento dei Black Jester, avvenuto dopo il terzo album
“The Divine Comedy”, per l’appunto i Moonlight Circus (gruppo tutt’ora in attività e dedito a un
power metal di discreta fattura e soprattutto con un ottimo cantante).
Il brano è, tra tutti forse, quello più ispirato ai Dream Theater, in cui vengono ridotte all’osso
le orchestrazioni e vengono messe in risalto le parti virtuosistiche delle chitarre.

Rispetto al precedente, questo album dimostra il notevole passo avanti fatto dalla band, anche grazie alla forte
influenza che i Dream Theater hanno avuto in quasi tutti, se non tutti, i gruppi progressive dall’uscita
di “Images And Words” prima e “Awake” poi. Nonostante tutto la band grazie alle sue eccellenti orchestrazioni
non risulta un semplice gruppo clone di Petrucci e compagni, ma anzi molto originale.
Unica pecca, se proprio vogliamo essere pignoli, è la produzione non proprio cristallina ma se pensiamo a quanti
soldi ci volevano per incidere gli album dieci anni fa possiamo sorvolare su questo aspetto.
Uno tra i migliori dischi metal progressive che pur non risultando un capolavoro si fa apprezzare soprattutto per la forte originalità.

Scheda Redattore Stefano Muscariello

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