Giapponesi, praticamente sconosciuti in Italia e con un debole per elettronica e Gothenburg sound, i Blood Stain Child giungono a ‘Mozaiq’ dopo aver già prodotto tre full-length. Una buona esperienza, dunque, a supporto della composizione di un disco che, senza quel pizzico di furbizia e mestiere messo in mostra dai nostri, sarebbe risultato infinitamente sciatto ed inutile.
Poco e niente di particolare emerge, infatti, dai quarantacinque minuti di un platter che si lascia facilmente ascoltare ma il cui effetto è destinato a breve durata. Dodici composizioni formalmente ben concepite tra strofe coinvolgenti, ritornelli che sono l’emblema del catchy/ruffiano ed un utilizzo sintetico delle melodie mai abusato fino al collasso. Una buona impostazione a cui fa, però, da contraltare un fare derivativo nello sfruttamento di formule ed idee, congiunto ad una naturale eterogeneità che poco giova alla coesione del disco. Il resto è identificabile in una produzione praticamente perfetta e in passaggi che sembrano emersi da una jam tra Soilwork ed ultimi The Elysian Fields. Senza filtri, nè preoccupazione di evitare pesantissimi echi, infatti, il sestetto nipponico eredita dai primi la costruzione di refrain e l’impostazione di molti passaggi vocali, dai secondi l’utilizzo di un’elettronica massiccia (e talvolta eccessiva) nella tessitura delle melodie. Un quadro buono, ascoltabile ma, come già fatto notare più volte, lontano dal capolavoro per un disco che, in un parallelo letterario, sarebbe etichettato come un buon prodotto da ombrellone. Evitabile senza grossi danni.