Rispetto a “Nosferatu” dello scorso anno, i Bloodbound si ripresentano sulle scene con l’ingresso in pianta stabile del cantante Michael Bormann, subito all’opera su questo nuovissimo “Book Of The Dead”.
Il power dalle chiare influenze heavy del disco d’esordio non muta sostanzialmente forma in questo nuovo platter, in cui riff taglienti e tempi sostenuti danno vita ad un vero e proprio manifesto di genere chiaramente ispirato ai grandi nomi del settore come Hammerfall ed affini. E’, comunque, proprio Bormann l’arma in più di questa giovanissima band europea, forte della sua decennale esperienza in band di spessore come Bonfire, Rain, Jaded Heart ed in questo contesto leggermente più aggressivo che in passato, davvero bravo nello sfruttare a pieno tutte le potenzialità delle proprie corde vocali. Ogni episodio è curato al dettaglio dai fratelli Olsson, i quali si dimostrano estremamente competenti sia a livello tecnico che compositivo. Il songwriting dei nostri, infatti, risulta essere fresco e dinamico, sebbene questo “Book Of The Dead” non aggiunga assolutamente nulla alla scena power. Tutto sembra studiato appositamente per i fruitori più accaniti del genere, attraverso una manipolazione evidente di tutti quelli che sono i classici clichè del panorama melodico e delle sue varianti (il riferimento, qui, va alle sporadiche soluzioni oscure ed aggressive inserite nel disco).
La riuscita di brani molto accattivanti come l’iniziale “Sign Of The Devil” o la stessa title track la dice lunga sull’operato della compagine, sicuramente in netto miglioramento rispetto ai tempi del disco d’esordio. Un ritorno più che gradito, dunque, per i chitarristi Olsson e per il sempreverde Bormann, da sempre sinonimo di qualità e competenza. “Book Of The Dead” raccoglie, seguendo la vecchia scala numerica, un bel sette.