Avete letto bene. Quella che vado a raccontarvi è la cronaca dell’incontro con una di quelle persone comunemente classificate come “leggenda vivente”meglio conosciuta con il nome di Bob Daisley. Più che un bassista, un vero punto di riferimento del metal anni ‘70 – ’80, l’uomo che ha messo la firma su capolavori come “Blizzard Of Ozz” e “Long Live Rock n’ Roll”, uno stimato professionista che può vantare collaborazioni importanti con Gary Moore, Uriah Heep, Black Sabbath e Yngwie Malmsteen, ma soprattutto uno degli strumentisti più influenti dell’intera scena metal. Nel mese di luglio Bob ha fatto visita al nostro paese nel’ambito di un tour promozionale patrocinato dalla Mad Music di Patrizia Grossi (che ringraziamo per la gentile opportunità), prima presso il comune di Acqui Terme (AL) per un conferenza stampa, poi per incontrare i fans al Maltese Live Club di Cassinasco (AT) e al Peocio di Trofarello (TO), per una volta lontano dai palcoscenici che contano delle grandi città. Una scelta che si è rivelata quanto mai azzeccata sia per il contatto con il pubblico, sia per l’atmosfera estremamente conviviale. Bob torna sul mercato con un signature bass di produzione italiana e una dettagliata autobiografia che, sono pronto a scommetterci, costituirà un’autentica delizia per tutti i rocker degni di questo nome. In attesa di ulteriori dettagli circa la data di pubblicazione (si parla di settembre), ecco a voi, ladies & gentlemen, la leggenda: Bob Daisley!
Ciao Bob, parlaci della la tua autobiografia in uscita, che se non erro si intitola…
Si intitola “For fact’s sake”, ed è un termine slang ad indicare quando un avvenimento è accaduto realmente. Ho usato questo titolo perché sono partito dai miei diari personali che risalgono al 1976, tutti gli aneddoti raccontati nel libro vengono da lì, con tutti i riferimenti temporali, l’ora e il giorno esatti, gli avvenimenti, i personaggi, ogni cosa narrata è realmente accaduta, non è frutto dell’immaginazione; da lì viene il titolo.
Dal titolo sembra quasi che ci sia qualcosa di non detto nella tua carriera…
Il titolo riflette ciò che il libro è, ovvero i fatti nella loro autenticità.
Hai seguito un ordine cronologico nella narrazione?
La storia inizia dalla mia nascita passando per la mia infanzia, i primi giorni di scuola, come sono entrato nel mondo della musica, come ci sono cresciuto, la mia prima band ai tempi della scuola, le prime opportunità professionali, come ne ho fatto un lavoro e così via.
Chi era il Bob Daisley studente?
Ero piuttosto bravo a scuola, me la cavavo, ma tendevo ad essere un po’ ribelle. Non mi sentivo inserito nel sistema e non mi andava che qualcuno mi dicesse cosa dovevo fare o cosa dovevo pensare…da giovane ero così, tendevo un po’ a distinguermi. Il mio ingresso nel mondo nella musica è avvenuto in maniera molto naturale o almeno a me piace pensare questo; credo fosse un po’ il mio destino quello di crescere come musicista e non pensavo affatto di farne una carriera. Quando hai tredici-quattordici anni non puoi certo sapere cosa farai nella vita, ma nel momento in cui presi in mano uno strumento per la prima volta tutto divenne più chiaro, fu quasi una rivelazione. Molti miei coetanei verso i 16-17 anni sognavano di diventare meccanici, designer, avvocati o qualsiasi altra cosa, mentre a quell’età tutto ciò che volevo era la musica, ma è successo tutto per caso, mi piace pensare che sia stato una sorta di scherzo del destino.
Quanto sei stato influenzato dalla prima generazione di bassisti rock come John Entwistle e Paul McCartney?
la mia prima influenza in assoluto è stato Jet Harris degli Shadows, poi sono venuti Paul Mc Cartney, Bill Wyman, Jack Bruce dei Cream…e Ronnie Wood che, forse non tutti lo sanno, prima di entrare negli Stones è stato un ottimo bassista alla fine degli anni ’60 con il Jeff Beck Group.
Come hai sviluppato il tuo pick up style? Da subito o gradualmente?
Agli inizi cercavo sempre suonare come qualcun altro, è inevitabile; un po’ alla Mc Cartney, un po’ Entwistle, un po’ di Jack Bruce…solo in un secondo momento è venuto fuori il mio stile, sono andato avanti a copiare per un certo periodo, poi ho iniziato a sviluppare uno stile tutto mio, è stato così per tutti e io non faccio certo eccezione, anche i nomi che ti ho fatto hanno avuto a loro volta delle influenze. Il mio vero punto di riferimento però è Willie Weeks, un bassista di colore che ha suonato nei dischi live di Donny Hathaway (musicista soul americano, morto suicida nel ’79, ndr)…Willie Weeks in concerto era capace di tirare fuori assolo di basso incredibili, per me è stata un’autentica rivelazione! Aveva un gusto unico nello scegliere le note giuste al momento giusto e un grande approccio allo strumento…ha avuto il suo momento di gloria attorno al 1972 ma dovrebbe essere ancora in giro…
Qual è secondo te il bassista più sottovalutato della scena rock?
Un tipo come Jet Harris avrebbe meritato maggiore notorietà, ha influenzato molti bassisti ma non credo abbia avuto particolari riconoscimenti nel corso degli anni. Gli Shadows erano la migliore band in giro a quel tempo almeno da un punto di vista strumentale, ti parlo del periodo fra i ’50 e i ’60.
Che ne pensi di Gary Thain?
Gary era semplicemente fantastico. Pensa che quando sono entrato negli Uriah Heep Mick Box mi paragonò a Gary Thain come stile…evidentemente avevamo già qualcosa in comune eh eh.
Hai cambiato nel tempo il tuo approccio allo strumento ogni volta che cambiavi band?
Ho sempre cercato di suonare in modo naturale e di restare me stesso nelle varie situazioni. A volte è capitato che l’ambiente o i singoli contesti abbiano influenzato un po’ il mio modo di suonare, è innegabile, ma alla lunga il mio approccio veniva fuori.
Quanto ha inciso il carattere dei singoli musicisti che hanno lavorato con te al momento? Penso a Ritchie Blackmore, su tutti…
Nel caso specifico di Ritchie beh, i Rainbow erano a tutti gli effetti la sua band. Ok, c’erano Ronnie Dio e Cozy Powell ok ma quella era la sua band, lui aveva sempre l’ultima parola sulla direzione che la musica doveva prendere. Noi ne eravamo consapevoli, lo capivamo e lo accettavamo. In altre bands i musicisti avevano mano libera ma vedi, anche se ogni situazione ha dinamiche differenti il mio stile è rimasto sempre quello e non è mai cambiato.
Hai mai considerato l’idea di un progetto tutto tuo? Un Bob Daisley Project?
Ci ho pensato a lungo, ma forse è troppo rischioso, sai, ogni volta che coinvolgi qualcuno sorgono problemi di ego e cose di questo tipo. La cosa più simile a un disco solista che abbia mai fatto fatto è stato il progetto “Hoochie Coochie Man” (2002) con John Lord, lì ho avuto un maggiore controllo sulla musica, non era proprio un “Bob Daisley album”, ma indirettamente lo è stato.
Tornando alla tua biografia, sei stato aiutato da qualcuno per scriverla?
No, nessun ghost writer. E’ stato scritto di mia penna, ho una buona memoria e poi ci sono i diari, molte fotografie, nel libro ho semplicemente riportato QUANTO è accaduto. Ogni fatto narrato è accompagnato dai riferimenti temporali e dalle foto.
Messa così sembra molto diversa dal resto delle biografie in commercio…
Certo, perché ormai molta gente assume qualcun altro per scrivere il proprio libro! Questo non è scrivere! prendi Ozzy, quelle non sono parole sue, lui non ha scritto una parola del suo libro! Sono andato a leggermi il suo libro e credimi, è pieno zeppo di bugie! Leggo di Sharon che racconta le sessions di “Blizzard Of Oz”…ma lei non era neppure presente a quelle sessions! Noi eravamo in Inghilterra mentre lei era negli States! non era presente! Ti rendi conto? It’s Bullshit! E questi sarebbero i suoi ricordi???
Quindi il tuo libro è una sorta di replica?
Non proprio. questi sono i fatti, queste le date, giudicate voi, fatevi un’idea.
A proposito dei tuoi ex compagni,che notizie hai di Lee Kerslake ?
Lee non ha lasciato gli Heep per un discorso di soldi o per incompatibilità. Troppi tour lo hanno logorato fisicamente, così a un certo punto ha detto : “ragazzi cari vi adoro, ma è ora che mi fermi”. Nessuna incomprensione con la band, solo il desiderio di non andare più in tour.
Tornando ai tuoi progetti attuali, stai anche promuovendo il tuo signature bass…
Sì, è stata Patrizia Grossi a contattarmi alcuni anni fa tramite il mio sito ufficiale per chiedermi se fossi interessato al design di un basso che fosse anche signature, il primo della mia carriera.
Hai ricevuto molte richieste in tal senso nel corso degli anni?
Alcune, ma ad essere sincero non le ho mai prese seriamente. I miei bassi fanno parte quasi tutti di una collezione vintage degli anni ’50-’60 sono visibili direttamente sul mio sito. Per quanto mi riguarda quei bassi sono perfetti. Ho avuto richieste da alcune bands e altra gente ma vedi, non voglio mettere in commercio con il mio nome qualcosa che sia “Made in Taiwan” o “Made in China” solo per tirar su qualche soldo; volevo un basso di produzione artigianale, fatto in Italia e con i migliori materiali. Abbiamo lavorato assieme sul design, sulla forma dello strumento e sulla parte tecnica. non sarà qualcosa di esattamente economico, ma è di prima qualità ed è uscito esattamente come io lo volevo. It’s not really chip, but it’s not gonna be shit!
Hai mai considerato l’idea di tornare on the road, in una grossa band, magari nel giro dei festivals…?
E’una possibilità, non lo nego, ma la condizione che deve essere chiara è quella di scrivere canzoni, entrare in studio e registrare un album.
Nessuna autocelebrazione ,quindi…
beh, ho fatto talmente tante cose nella mia carriera che potrebbe sembrare abbastanza e non è detto che non possa farle di nuovo in futuro…mai dire mai nella vita.
Se tu dovessi dare un suggerimento a chi si avvicina per la prima volta al basso o a un qualsiasi strumento, che consiglio daresti?
Siate pronti ai sacrifici se volete che i vostri sogni diventino realtà. Fate pratica ogni giorno, ascoltate stili e musicisti differenti per svilupparne col tempo uno vostro, ma soprattutto non perdete un giorno di prova, suonate tutti i giorni. Non basta provare due volte alla settimana per avere la pretesa di diventare qualcuno. Lo status di rockstar non significa assolutamente niente, essere un buon musicista significa molto, invece. Non è questione di essere ricchi o famosi, ma di devoti alla propria arte, questo fa la differenza . I sacrifici sono imprescindibili : dire “non voglio lasciare casa, non voglio andare in tour, non voglio fare questo o quello” non porta da nessuna parte”.
Si ringrazia Patrizia Grossi di Mad Music, il Circolo Culturale Peocio di Trofarello (TO) , il Maltese Live Pub di Cassinasco (AT)…e Bob Daisley.
www.bobdaisley.com
www.bustersound.com
www.birreriailmaltese.com
www.ilpeocio.com