Stadio San Siro, Milano – 29 Giugno 2013
Non esiste che un fan sia costretto a sborsare dai 50 ai 70 e più euro per assistere ad uno show enormemente penalizzato da un’acustica vergognosa! Uno stadio gremito con volumi scandalosamente bassi, tanto che la voce e gli strumenti vengono sovrastati dal canto e dalle urla del pubblico! Non so se questo sia dovuto all’inadeguatezza della struttura o a delle scelte politiche della città di Milano, fatto sta che non è corretto, né per l’artista che si esibisce (non certo l’ultimo arrivato!), né per il pubblico pagante, trovarsi di fronte ad uno spettacolo simile. Ancora una volta l’organizzazione di concerti rock/metal in Italia si rivela alquanto scandente!
Fatta questa poco felice ma doverosa premessa, iniziamo a raccontare la serata a San Siro dei Bon Jovi, di ritorno a Milano dopo quasi una ventina d’anni. L’occasione è di quelle speciali: oltre a presentare per la prima volta in Italia i brani del recente album “What About Now”, la band sta intraprendendo questa tournée per festeggiare l’importante traguardo dei trent’anni di carriera. Come molti dei presenti già sapevano, non è stato della partita lo storico chitarrista Richie Sambora, probabilmente ancora in contrasto con il leader della band Jon Bon Jovi – anche se in realtà nessuno è a conoscenza dei reali motivi del suo (temporaneo?) abbandono. A sostituirlo, nuovamente, il chitarrista Phil X. Se da un lato Phil X è autore sicuramente di una buona prestazione, dall’altro non può rivaleggiare in quanto a presenza scenica con Sambora né tanto meno con Jon Bon Jovi che è “costretto” a sostenere praticamente la totalità delle attenzione del pubblico. E il buon Jon, da consumato attore qual è, non si fa certo pregare. Tutti i suoi gesti, se le sue movenze, i suoi ammiccamenti non sono certo frutto del caso: saper stare sul palco vuol dire anche questo. Non solo una prestazione maiuscola, ma il totale controllo del pubblico, che letteralmente pende dalle sue labbra, in attesa di un suo cenno, di un saluto, di un ringraziamento. Di contorno (si fa per dire), dei grandi professionisti, praticamente da sempre compagni di avventura del carismatico cantante italo-americano.
Il palco, come lo show stesso, è qualcosa di mastodontico: un’abnorme fuoriserie americana griffata “Bon Jovi” troneggia sullo sfondo, con dei grossi monitor che proiettano in diretta le immagini del concerto e temi delle canzoni. Un impressionante impianto luminoso completa il tutto. Come anticipato, lo show, per intensità, qualità della scaletta e durata, si rivela qualcosa di epico.
I Bon Jovi propongono i migliori brani dell’ultimo album, disco non certo esaltante, che dal vivo acquistano maggior spessore, come nel caso della struggente Amen, molto toccante e coinvolgente. Momento topico durante l’esecuzione del singolo Because We Can, quando la fantastica scenografia ideata dal fan club italiano della band fa commuovere l’istrionico Jon: migliaia di bandierine italiane tra il pubblico e un enorme striscione che ripercorre i trent’anni della band, comparandoli con alcuni dei maggiori momenti della storia mondiale contemporanea.
Jon non ce la fa! Ferma tutto per un attimo e, ringraziando il pubblico, qualche lacrimuccia solca il suo viso. Folla estasiata e sorpresa, per questo gesto umano che riduce di un poco la distanza tra la star e i suoi fans.
Oltre ai nuovi brani, una miriade di classici, che per un motivo o per l’altro sarebbero tutti degni di menzione. Tra i miei favoriti, la trascinante Born To Be My Baby, l’inno Keep The Faith e la romantica In These Arms. Con Bad Medicine, Jon fa il giro della passerella (per la gioia dei fans appostati in zona transenne) e si chiude la prima parte dello show che però è ancora davvero lontano dalla sua effettiva conclusione.
La band infatti rientra quasi subito sul palco per proporre lunghi bis: mi ha favorevolmente impressionato la superba riproposizione di un’intensa Dry County, con i suoi quasi 10 minuti di durata. Il pubblico (stadio praticamente quasi tutto esaurito) partecipa con passione ed entusiasmo, con urla, applausi e incitamenti alla band che sembra assolutamente soddisfatta. E di fatti i Bon Jovi regalano ai ragazzi italiani una gustosa sorpresa, ovvero l’esecuzione in anteprima assoluta della dirompente Undivided, dal forse troppo sottovalutato “Bounce”. Non poteva mancare ovviamente il super classico Livin’ On A Prayer, in cui Jon fa furbescamente cantare la folla nei momenti giusti per riprendere fiato.
Ancora saluti e ancora un nuovo rientro con bis: questa volta tocca ad Always, forse il brano in assoluto più famoso dei Bon Jovi, in cui Jon deve mettercela tutta per cantare delle linee vocali non certo facili (il suo viso, a tratti paonazzo, la dice lunga!). C’è tempo anche per These Days, dall’omonimo album, un pezzo capace di infiammare il cuore e che, personalmente, aspettavo con ansia. Davvero emozionante!
I Bon Jovi salutano nuovamente e rientrano tutti nel backstage tranne Jon che rimane a prendere i numerosi applausi del suo pubblico, ancora non sazio. Ed è lo stesso Jon che con un fischio richiama simpaticamente la band sul palco per un ulteriore regalo ai fans italiani: il frontman fa scegliere al pubblico cosa suonare tra numerosi classici tra cui Bed Of Roses, Blood On Blood e altri. A spuntarla è, almeno secondo Jon, This Ain’t A Love Song altra ballad molto amata dai supporter bonjoviani. Personalmente avrei preferito come chiusura un brano più energico come poteva essere Blood On Blood, per far saltare nuovamente il pubblico. Poco male: ennesima grande interpretazione di Jon Bon Jovi che, a fine brano, in modo molto teatrale, con il pugno alzato, si avvia nel backstage congedandosi così dal suo pubblico. E questa volta è davvero la fine.
Nonostante l’acustica tutt’altro che esaltante, questo show dei Bon Jovi si è rivelato positivo sotto diversi punti di vista, in primis l’assoluta professionalità della band (non sono in giro da 30 anni per caso), in secondo luogo una scaletta davvero epocale per oltre 3 ore di musica. Il feeling del tutto speciale, che sembra vi sia tra i rockers del New Jersey e i ragazzi italiani, ha fatto il resto, per consegnare ai fans una giornata sicuramente da ricordare.
Setlist:
- That’s What The Water Made Me
- You Give Love A Bad Name
- Raise Your Hands
- Runaway
- Lost Highway
- Born To Be My Baby
- It’s My Life
- Because We Can
- What About Now
- We Got It Goin’ On
- Keep The Faith
- Amen
- In These Arms
- Captain Crash & the Beauty Queen From Mars
- We Weren’t Born to Follow
- Who Says You Can’t Go Home
- Rockin’ All Over the World (John Fogerty cover)
- I’ll Sleep When I’m Dead
- Bad Medicine
primo bis:
- Dry County
- Someday I’ll Be Saturday Night
- Love’s The Only Rule
- Wanted Dead Or Alive
- Undivided (tour premiere)
- Have A Nice Day
- Livin’ On A Prayer
secondo bis:
- Never Say Goodbye (solo prima strofa e ritornello)
- Always
- These Days
terzo bis:
- This Ain’t A Love Song