Ancora thrashcore; questa volta senza la puzza di latte, nè il riverenziale atteggiamento da copia-incolla del pivellino di turno. I Born From Pain ritornano e, a poco più di un anno dall’anonimo “In Love With The End”, consegnano al proprio pubblico un disco di svolta: buono, godibile e frutto dell’immensa esperienza live maturata negli anni di attività.
Undici brani che, in parte, seppelliscono quella prevedibile successione di mid-tempos delle uscite più recenti, qui sopraffatto da un songwriting più aperto e piacevole. I riff si sciolgono e, introducendo con parsimonia anche una maggiore dose melodica, riescono a dare un perchè ad un disco che colpisce e si lascia ascoltare apparendo veloce, snello e fluido. Il songwriting fa sì che la band si spogli della scomoda veste di cugino cattivo degli Hatebreed, ultimamente indossata, grazie ad un atteggiamento sempre più vario che non disdegna, oltre alle solite influenze thrash, anche spiragli verso un riffing legato alle tradizioni death e grind. Con questi presupposti, non sono un caso l’illustre presenza di Barney, dai Napalm Death, nella stupenda “Behind Enemy Lines” così come l’inconfondibile timbro di Jan Chris de Koeijer in “Crusader”. Ospiti graditi che, insieme alla comparsa di Lou (Sick Of It All), servono ad elevare il livello di un disco che si mantiene, sempre e comunque, su indici d’attenzione e dinamicità elevati. Cosa rimane del passato? L’immutabile voce di Che, l’attitudine fortemente urbana ed i continui, ricorrenti anthems a rivendicare, urlando con rabbia e disagio, le proprie onnipresenti radici hardcore. Un buon disco che, dopo le delusioni succedute all’ottimo “Sands Of Time”, risolleva le sorti di una band di nuovo meritevole di attenzione sia per le qualità mostrate, sia per il coraggio di rimettersi in gioco. Gradito ritorno.