Quarto album per questa band finlandese nata nel 1997 dedita ad un Heavy Metal che strizza l’occhiolino al power per una relase che certo non inventa niente di nuovo nè aggiunge nella allo stile e alle sonorità del quintetto, me serve a concretizzarne la decisione e la convinzione, con un sound possente, sicuro, che non esce mai dal seminato ma che all’interno del suo solco si muove in modo molto naturale.
Indiscusso protagonista, anche questa volta, il singer Pete Ahonen, voce profonda e sicura, in grado di rendere vari e interessanti brani che in realtà spesso sanno di “già sentito”.
L’album si apre sulle note classiche del film “Il Padrino”, prima quasi un carillon, poi una rocciosa ondata metallica, che fa da introduzione a “Empyre”, title track che ci fa capire subito su che lidi andremo a battere: un mix tra Helloween degli esordi, Priest e Edguy. La band è compatta, e ogni strumento si ritaglia uno spazio importante, tranne forse le tastiere che vengono relegate a ruoli un po’ marginali, quasi di sottofondo, passando per lo più inosservate. Tra i momenti migliori di questo album “Face the Truth”, granitica e veloce, con Kolivuori in grande spolvero su un ritornello facile facile da imparare, il mid tempo “Only the Wrong Will Survive”, o “Fool’s Parade”, in cui le keys si fanno sentire per un sound che ricorda molto da vicino gli Avantasia, con cori a rimarcare le doti canore del frontman (uno di quelli che non vorresti mai incrociare in una via buia, vista la stazza e l’aspetto truce).
Ci si salva anche sulla immancabile ballad lenta, “Was it Me”, ancora una volta non originalissima ma degna di un album che si lascia ascoltare in tranquillità, strappando più di una volta un ghigno di apprezzamento. Quarto capitolo della storia dei Burning Point che non farà forse fare “il salto” alla band ma che ne conferma il buono stato di salute.