Il ritorno sulle scene, dopo anni di assenza, di “tale” Patrick Mameli, la sua collaborazione con mostri sacri del calibro di Sean Reinert (Death, Cynic, Aeon Spoke, Gordian Knot), Tony Choy (Cynic, Atheist) e Tony Jalencovich (B-thong, Mnemic, Transport League), un prodotto sul quale si è annunciato tutto ed il contrario di tutto. Attesa, curiosità ed aspettative erano inevitabili attorno ad un disco dalla difficile lettura, buono ma potenzialmente deludente per chi, preso da cuore ed ingenuità, si aspettava qualcosa di simile ad un nuovo ‘Focus’. Nonostante qualunque fantasiosa ed audace interpretazione ‘Collision’ è, infatti, quanto di più lontano al mondo vi sia dal death metal. Quattordici brani di coraggioso crossover a testimoniare l’onestà artistica di chi avrebbe potuto registrare un dischetto di death omogeneo da tre soldi, facendo gridare al miracolo da blasone. Qui c’è invece la compattezza e l’attitudine dell’hardcore, la passione del gangsta-rap, la cadenza serrata del thrash Meshuggah-like, stupendi e calibrati assoli di estrazione jazz. E poco importa se il risultato è migliorabile perchè, finchè il suo effetto dura, il disco in questione è un saggio di padronanza strumentale, eclettismo sonoro e suoni tanto unici quanto inimitabili. Un fascino talvolta usa e getta, dal collante migliorabile, ma di una presa sconvolgente.
Questa è lo sfogo in chiave moderna di quattro musicisti straordinari che riescono, con un’incredibile naturalezza, a fornire qualcosa che, nella sua imperfezione, appare inclassificabile, superiore, destabilizzante, dunque perfettamente riuscito. L’ultimo problema di questi quaranta minuti è quello di suonare strambi e poco death. L’obiettivo più volte annunciato era quello colpire: ‘Collision’ va a segno in maniera imprecisa ma facendo molto male ed esigendo rispetto a quintali.