Era il 1993 quando questo discone intitolato “Heartwork” trovò posto sugli scaffali dei negozi con la sua inquietante copertina del folle Giger. “Heartwork” segna anche l’ultimo capitolo di Michael Amott in casa Carcass dato che in seguito abbandonerà il gruppo per avviare numerosi progetti fra cui Arch Enemy, Spiritual Beggars ecc…
“Heartwork” è un disco stupendo, particolare, fuori dal comune, un disco che ancora oggi sa di nuovo e riesce a prenderti ad ogni nuovo ascolto. Tradendo le loro origini grindcore i Carcass confezionarono questo disco di Death Metal assai diverso da quanto proposto all’epoca partendo dal puro Heavy Metal con accelerazioni thrash/death, drumming potente e martellante, e assoli tipicamente seventies a dir poco stupendi…. tutti elementi grazie ai quali si riuscì a creare qualcosa di dannatamente accattivante, qualcosa destinato a vivere in eterno!
C’è chi considera “Symphonies Of Sickness” il capolavoro dei Carcass, chi invece “Necroticism – Descanting The Insalubrious” e chi ancora vede “Heartwork” come leader indiscusso della loro discografia; a me piace invece considerare ognuno di questi album come un piccolo capolavoro a se stante solo perchè si tratta di album molto diversi tra loro e, a modo loro, sempre innovativi. “Heartwork” è il luogo in cui buon gusto e tecnica al servizio della musica (e non viceversa) convivono pienamente d’accordo ma è anche il luogo in cui i nostri riescono a tenere il nostro cuore nella morsa delle loro mani stritolandolo, liberarandolo e poi ancora stritolandolo…. un sadico gioco fatto di sola musica abbinata a dei testi che vanno dal gore alla politica passando per una visione sarcastica dell’amore.
Si va dalla lentezze ossessive di “Buried Dreams”, scandite dal cantato demoniaco di Walker, alla intricata e veloce “Carnal Forge” ricca di tecnica e di assoli stupendi passando per la sarcastica “No Love Lost”, scandita da dei riff di stampo classico. E poi ancora la title-track, un vero e proprio tripudio di riff geometricamente perfetti, oppure la bella “Embodiment”, tanto semplice quanto efficace nel creare melodie potenti e abrasive, e ancora “This Mortal Coil” e “Death Certificate”, che riuscirebbero a convincere anche i più scettici ad etichettare “Heartwork” e ogni suo singolo tassello come capolavoro immortale della musica estrema concepito da una band mai troppo rimpianta.
Da avere, ascoltare e riascoltare per sempre senza però dimenticare gli altri capitoli del passato di questa grande band inglese.