Un tempo c\’erano i pesi massimi: erano i gruppi black, quelli della scena scandinava, che assalivano il mercato della musica heavy metal con ferocia, riff pesanti e velocissimi, suoni asciutti e diretti come una scimitarra in mano a un saraceno, che colpivano sempre nel segno, e trasudavano violenza e inquietudine. Il mercato ne rimase colpito, a tratti tramortito, poi iniziò ad appassionarsi a questi lottatori. Ma per molti ascoltatori era davvero troppo audace.
Arrivarono così i medio-massimi, categoria di \”pugili\” più snelli e agili nonostante la corporatura decisamente imponente… subito derisi dai giornalisti e dagli appassionati della prima categoria, riuscirono a farsi strada piano piano nel cuore dei atiti del suddetto sport, allargando le braccia per colpire non solo i fans della prima ora, ma anche quelli che fino a quel momento si erano dedicati ad altri generi meno \”arditi\”.
I due capisaldi di questa categoria, negli anni, diventarono loro: i Dimmu Borgir e i Cradle Of Filth, coloro che riuscirono a far parlare come mai prima del cosiddetto black \”sinfonico\”, quello cioè che pur non perdendo la ferocia e la cattiveria del black scandinavo originale, faceva sue anche altre componenti quali ritornelli quasi orecchiabili, riff più agevoli e veloci, orchestrazioni, effetti sonori e intervalli scream – growl – clean.
Oggi i due campioni sono di nuovo sul ring, contemporaneamente per l\’ennesima sfida: entrambi con un nuovo album. La \”preparazione\” fisica dei due è decisamente differente: i Borgir escono da un periodo travagliatissimo dopo l\’abbandono della band da parte di due membri importantissimi, i Cradle invece vengono da un periodo di leggera ripresa creativa dopo uno-due album non accolti benissimo dalla critica.
E veniamo al dunque, svelando subito (so che un buon giornalista non lo farebbe mai però …) che la (ri)crescita artistica della band continua e anzi, con questo \”Darkly, Darkly, Venus Aversa\” i nostri tornano su livelli di assoluta eccellenza, sfornando l’ennesimo concept album basato su storia scritta ed ideata dagli stessi Cradle Of Filth ma che affonda le radici nel mito di Lilith, che la mitologia vuole come prima moglie di Adamo, poi compagna di Samael, demone e regina delle Succubi.
I nostri arrivano sugli scaffali dei negozi di dischi con un lavoro estremamente complesso e lungo (oltre un\’ora di musica), in cui tutto si può dire tranne che sussista la noia. Dani Filth e soci infatti infarciscono spesso e volentieri i brani con voci esterne femminili, narranti, e con orchestrazioni dal profondo sapore gotico antico e ancestrale, per un album che al primo ascolto lascia piuttosto interdetti, divisi tra la consapevolezza che questa è musica 100% Cradle Of Filth e brani che a volte rischiano di essere addirittura troppo pomposi e complessi.
Complessità già mostrata nell\’opener \”The Cult Of Venus Aversa\”, in cui dopo l\’intro femminile narrante si parte con un classico brano Cradle, con Dani in spolvero tra acuti e growl, ma con un\’alternanza sinistra di accellerazioni spasmodiche e rallentamenti decisi, tra clavicembali iniziali e tastiere finali ad arricchire il tutto.
Altro Hit del disco la splendida \” The Nun With The Astral Habit \”, qui davvero Cradle of Filth senza filtri o aggiustamenti, con un ritmo indiavolato e puramente black dall\’inizio alla fine, intervallato da sinistre partiture di keys su stuolo di doppiacassa imperante, con la voce di Dani che alterna differenti tonalità e modalità di cantato. Piacevole e horrorifico lo stacco centrale a base di chitarre thrash prima, e solo keys arcaiche e cupe su doppiacassa poi. Grandissimo lavoro di tutti i componenti della band, con particolare attenzione al duo Allender – McIlroy
Altro deciso cambio di rotta per \”Persecution Song\” che sorprende per il suo intro dolce e cadenzato quasi ballata-power, su cui un growlo soft quasi recitato di Dani si incastra alla perfezione, per una song che cresce piano piano di tono grazie all\’incedere sempre più pressante e veloce delle guitars, fermandosi però quà e là per soste dal sapore gotico e barocco, su organi e cori da pelle d\’oca.
\”Lilith Immaculate\” è un\’altra song che parte decisa sulle onde che hanno reso famoso il gruppo nel corso degli anni, ovvero velocità e doppia voce di Dani (scream alto e growl) a incrociarsi tra loro, fino alla comparsa di una provvidenziale voce femminile che coaudivata da sonorità particolari, quasi serene, risollevano l\’anima nera dell\’ascoltatorem gravata dai pezzi grondanti sangue precedentemente ascoltati, prima di ritrovarsi ancora una volta all\’inferno, tra rantoli e urla varie a base di doppicassa.
Insomma, un lavoro che lascerà soddisfatti coloro che cercano un album vario e ragionato, che esce dagli schemi semplici di un genere di appartenenza, per elevarsi al di sopra di tutto e tutti, dicendo i \”Cradle\” oggi sono questi e questo è quello che ci sentiamo di fare.
Un lavoro decisamente articolato e che necessita di diversi ascolti (al contrario di molti ben più diretti lavori precedenti della band) ma che colpirà per variabilità di musica e toni e per complessità delle trame musicali, con le chitarre che rubano spesso e volentieri la scena alla batteria e con le keys sempre presenti per creare atmosfera prima ancora che trame musicali.
Un ottimo album , che ci riconsegna un medio-massimo in splendida forma e pronto per l\’ennesimo match.