Ditemi tutto quello che volete, che sono copia degli In Flames, che somigliano ai Dark Tranquillity, ma io vi risponderò sempre questo: rispetto al primo album hanno fatto passi da gigante, e oggi ci donano un album con la A maiuscola, veramente bello e ben suonato, una personalità che a me pare evidente, e che soprattutto riesce a non rendere mai noioso un lavoro che dura 53 minuti, e per 53 minuti riesce a rinnovarsi e contorcersi su se stesso.
Ci si trova un po’ di tutto dentro, dai due big già citati a un tocco di Cradle of Filth, fino ad assaggi di At The Gates. Un lavoro veramente ben congegnato che forse avrebbe meritato un pochino di cura in più in sede di produzione, ma che quel mezzo voto lo recupera con un art-work ottimo e indicato.
“Cut To The Heart” ci apre le porta con una ventata di Swedish Death Metal, e qui assale il dubbio: no, un’altra band copia degli In Flames… e invece no. Perchè la personalità del combo viene fuori da subito, con una batteria che raggiunge suoni metallici più simili agli Slipknot che alle normali Death Metal Band scandinave, facendoci vedere un gruppo influenzato da varie correnti musicali (ricordiamo che sono americani del Kansas).
Volete una song da ascoltare a tutto volume, corna al cielo, saltando sul letto (ovviamente se non pesate 90 chili e siete alti uno e ottanta come il sottoscritto!)? Eccola: Terraphobic, title track dal piglio aggressivo ma in grado di rallentare spesso e volentieri, creando atmosfere da cinema horror, con inserti di classic metal, in cui la voce passa dal quasi clean al tono simile a Riberio dei Moonspeel, al gutturale, in un mix suoni magico, in cui i riff complessi e completi di chitarra giocano a nascondino con le mitragliate della batteria, e il basso arricchisce di nuova anima il tutto. Applausi, pur senza inventare nulla di trascendentale, ma a volte la musica deve essere prima di tutto coerente per poter essere apprezzata e qui direi che ci siamo assolutamente.
Si pigia sull’acceleratore a tratti con la successiva “Wave Of Predation”, che si arricchisce di stop and go ma che soprattutto ci porta in un mondo di desolazione e cattiveria.
Più classico ma sempre ottimo il suono della successiva “To The Drums We Rise”, in cui tutti gli strumenti si ritagliano il proprio solo, e in cui nessuno stecca o pecca di presunzione. Song un po’ più convenzionale insomma, che si ricorda soprattutto per le urla simili a ruggito di pantera del singer piuttosto che per la song in sè, pur ricca di un piglio pesante e oscuro.
“Full Speed Ahead” arriva subito dopo a farci capire che era solo una pausa prima del nuovo arrivo della tempesta. Velocità, incroci di voci, chitarre distorte ai massimi livelli e tanta violenza ci investono in pieno. Si salvi chi può. e poi via fino alla fine, che giunge una volta tanto troppo presto, dopo undici pezzi da brivido.
In conclusione, un album veramente ben fatto, che stupisce per varietà e per personalità, e che pur non facendo miracoli, colpisce assolutamente nel segno. Provatelo!