Il mercato discografico è strano, è un po’ lo specchio di questi tempi incerti. Capita così che anche un album davvero buono come questo “Dies Hominis” dei Damnatio Memoriae passi del tutto inosservato, totalmente ignorato dalle case discografiche. Poco male. I Damnatio Memoriae seguono la strada percorsa da molte delle nuove leve: si autoproducono.
“Dies Hominis” è il primo album sulla lunga durata per questa band lombarda e segue il promo datato 2008. Lo stile proposto dai Damnatio Memoriae è riconducibile a un gothic piuttosto tetro e oscuro che incorpora anche elementi del metal classico e del black. Le tastiere hanno il doppio ruolo di creare le giuste atmosfere gotiche ma anche di evidenziare l’aspetto melodico presente nel sound della band.
Dopo la lugubre Introspection, prende via il primo brano di “Dies Hominis”, Evil Talks Growl: un viaggio lento e oscuro che ci giuda direttamente all’inferno e che introduce la successiva Damnatio Memoriae. Questa canzone è un po’ il summa dell’album, miscelando in sé le diverse sfaccettature del sound dei ragazzi lombardi. Vocals in screaming si alternano a parti pulite, supportate da una ritmica incisiva e graffiante che lascia spazio al bel solo classico del chitarrista Antonio Angelone. Il finale, decisamente evocativo, crea un’atmosfera in grado di coinvolgere appieno l’ascoltatore, per questo che è sicuramente uno degli highlight del disco.
The Dream Of The Sleeping Sun inizia in maniera lenta e ossessiva, con vocals decisamente oscure, per poi liberare la sua furia metal. Incisivo il ruolo delle tastiere che donano quel tocco “gotico” prima dell’ottimo solo di Angelone. Ritornano le vocals pulite e riportarci su sentieri più classici e melodici senza però abbandonare l’aura nera del brano. La versatilità dei Damnatio Memoriae sembrerebbe l’arma in più atta ad avvalorare ogni singola composizione di “Dies Hominis”.
Running To Your Fate è in parte più diretto e aggressivo, e potrebbe ricordare lo stile dei Cradle Of Filth: ritmiche serrate, vocals che alternano parti in screaming e in growling, e atmosfere decisamente nere, sono gli ingredienti di questa composizione.
Anche In My Longest Night potrebbe ricordare i vampiri inglesi, tuttavia le melodie incalzanti delle tastiere e le parti classiche della chitarra solista sono in grado di cambiare di volta in volta lo scenario della canzone, per altro davvero ottima. La successiva Thin Line, che sembrerebbe essere musicalmente collegata al precedente brano, è un altro dei punti di forza dell’album. Nella sua durata relativamente breve sono presenti tutti gli elementi dello stile dei Damnatio Memoriae: la melodia e le atmosfere create dalle tastiere e dalle chitarre, la versatilità vocale del cantante Francesco Corradini, e una sezione ritmica mai banale e coinvolgente. Stupenda chiusura sulle note del piano.
L’ultimo brano del disco è forse il più particolare, e quello che potrebbe fare da ponte tra “Dies Hominis” e il futuro album dei Damnatio (che dovrebbe essere già pronto). Mors Est Communio è infatti cantata in tedesco e riprende il tema di un inno di battaglia dei soldati lanzichenecchi. Atmosfere folk si aggiungono al già ampio spettro musicale dei Damnatio Memoriae. Pezzo unico a metà tra una cavalcata classica e un brano gothic metal, degna chiusura per questo “Dies Hominis” che si impone come una piccola gemma dell’underground nostrano. Ascolto vivamente consigliato.