La carica di Glenn Danzig è rimasta la stessa, sin dai tempi dei Misfits.
Uno dei pochi artisti che hanno saputo trovare un percorso “fedele” alle proprie idee, senza per questo perdere di incisivita’ o di carisma. Per questo 6:66 è un disco in cui non mancano spunti innotivi, che a mio avviso si colloca lungo il percorso intrapreso con “How the Gods Kill” e “Lucifuge”.
L’apertura del disco, massicciamente affidata a Five Finger Crawl, promette bene. Il brano sprizza potenza a tutto spiano e la voce particolare di Danzig contrasta con un cantato degno di un’anima in pena. Belly of the Beast riporta le cose sul piano della “normalita'”, e Lilin rallenta molto, ma Unspeakable rialza il livello. Degna di nota la citazione Lovecraftiana di Cult without a Name, anche se parla di un Werewolf (Lupo Mannaro).
L’unico brano negativo del CD è il seguenta Kali’s Song, un po’ moscio e di scarsa presa. Firemass prosegue sul filone di Unspeakable, ma il successivo Cold Eternal non è niente di particolare. La title track è degna rappresentante del CD, e mantieneappieno le promesse suggerite dai precedenti brani. L’album prosegue poi su linee piu’ calme, con Into the Mouth of Abandonement e Apokalips, e si conclude con Thirteen, quasi una invocazione, che da’ il tempo di riflettere sui propri errori.
L’atmosfera del CD è cupa, adatta ai temi introspettivi e/o di perdizione tipici del Glenn, scivolando a volte in un improbabile ma imperdibile mix tra atmosfere “dark” alla Cure e riff lenti ma carichi, come Into the mouth of Abandonement e Lilin o piu’ veloci come in Apokalips. Un ritorno di classe, da un artista in giro da ormai un ventennio, che dimostra come rinnovarsi senza perdere di vista i propri obiettivi.