Recensione difficile perchè ne è passato di tempo da album come SKYDANCER o il superlativo “THE GALLERY”, ed oggi può addirittura sembrare che un’altra band suoni col nome del grande combo svedese che furono i DARK TRANQUILLITY… ma non è così!!! Anzi i D.T. sono sicuramente una delle pochissime bands nord-europee a vantare una line-up pressochè invariata sin dagli esordi e quest’ultima è certamente un’altra causa della difficoltà che si può incontrare nel tentare di recensire HAVEN.
L’unica soluzione che ho trovato in un mese di tentativi è stata quella di parlare di HAVEN-Album e non di HAVEN come il nuovo album dei D.T.!
Certamente si tratta di un album valido e molto ben fatto dove la voce di MIKAEL STANNE e (ahimè) le tastiere di MARTIN BRANDSTROM sono le assolute protagoniste.
Che HAVEN sia un album di tutto rispetto lo si capisce già ascoltando l’opener “THE WONDERS AT YOUR FEET”, una sorta di preghiera invocazione dove la grande sezione ritmica e le chitarre insistenti lasciano presagire un disco “melodicamente aggressivo” che non si distacchi più di tanto dagli schemi di PROJECTOR. E’ la volta di “NOT BUILT TO LAST” ed il presagio inizia a prendere forma, ancora ritmica molto marcata e chitarre che di prepotenza emergono dal tappeto sonoro. Il quartetto iniziale si completa con “INDIFFERENT SUNS” e “FEAST OF BURDEN”, quest’ultimo a mio avviso il pezzo di maggior rilievo dell’album dalla ritmica tirata e che, tranne un’insignificante intrusione delle keyboards del buon Martin, suona “really guitar oriented”.
Ed ecco che arriva la titletrack a cambiare totalmente le carte in tavola, a ridisegnare nuovamente, così com’era stato per PROJECTOR, gli schemi del D.T. Sound. Ed ecco che i melodici intrecci degli Axe-men HENRIKSSON/SUNDIN, perno intorno a cui ruotava la musica dei D.T. sino al PROJECTOR-Sound, lasciano posto ad un tappeto sonoro in cui si fondono Keyboards, Guitars e la Drum n’ Bass Section, tappeto sul quale lo Stanne lascia scorrere le sue liriche sempre più profonde ed introspettive cantando (o urlando) con growl-vocals basse e tenebrose come solo lui può nelle desolate lande svedesi.
Il “NEW D.T. Sound” è ormai delineato e nel terzetto che segue la titletrack “THE SAME”, “FABRIC” ed “EGO DRAMA” è l’atmosfera a farla da padrona, forse a quasi una decade di distanza dagli esordi è questo che Sundin e compagni intendono per “Oscura Tranquillità”.
“RUN DOWN”, track n. 9, si distingue nel calderone e ci ricorda vagamente quello che erano i D.T.. “EMPTIER STILL” non si discosta dal nuovo sound che i D.T. sembrano essersi imposti e tocca alla conclusiva “AT LOSS FOR WORDS” regalarci qualche assaggio di emozione.
Dicevamo all’inizio che HAVEN è in definitiva un buon album, e lo è veramente; sono però decisamente troppo pretenziose le dichiarazioni rilasciate dalla band durante l’attesa dell’uscita di HAVEN, dove annunciavano il loro nuovo album come “un’ottima via di mezzo tra l’aggressività di THE GALLERY e le atmosfere di PROJECTOR.
Chiudo con due domande: senza sminuire il lavoro di MARTIN BRANDSTROM alle tastiere, era così necessario basare il nuovo sound del gruppo sui soui soffici tappeti? E poi, che fine ha fatto Mr. SUNDIN in fase compositiva?