“…. and when you look long into the abyss, the abyss also looks into you”. Una frase di Nietzsche riportata nel libretto di “The Sound Of Perseverance”, capace di esemplificare in se nascita, vita e morte della fantastica creatura dei Death.
Era il 1998 quando fu pubblicato e, per semplice scelta o per destino beffardo, si tratta dell’ultimo capitolo di quella che è stata una delle band fondamentali per musica metal estrema nonchè degna chiusura di una discografia, in ogni sua piccola parte, assolutamente perfetta, mai semplice, banale o scontata. Andare a scavare nell’abisso della mente umana non è facile, tutt’altro, ma i Death ne erano capaci, Chuck ne era capace.
Tecnicamente perfetto come un quadro di Bosch in cui ogni elemento, seppur surreale, è in armonia con tutto il resto, “The Sound Of Perseverance” rappresenta una delle vette più alte toccate dalla musica estrema… ma qui non si tratta solo di perizia tecnica, non si tratta solo di impressionare l’ascoltatore, nient’affatto… si tratta di ricreare una dimensione parallela e temporanea in cui un mondo totalmente nuovo e mai così vicino alla vera realtà prende forma e vita.
Delle chitarre taglienti, un cantato stridulo, al limite dello screaming e una batteria letteralmente disumana sono elementi che stupiscono si, ma la vera dote di questo album sta nel ricreare un suono ai limiti dell’umana concezione; un suono che può essere definito come macchinoso, freddo o pesante ma anche oscuro, angosciante e, perchè no, semplicemente triste.
“Scavenger Of Human Sorrow”, “Bite The Pain” e “Spirit Crusher” sono semplicemente dei capolavori, se fossero quadri andrebbero incorniciati, se fossero vivi… andrebbero studiati. A stonare un pò è la cover di “Painkiller” che, quasi identica all’originale se escludessimo l’assolo, non è nulla di eccezionale.
Peccato solo che i Death non ci siano più… non ci sarà più un seguito a questo spettacolo musicale.