A volte le raccolte, che come i funghi dopo la pioggia d’autunno spuntano puntualmete fuori ogni anno sotto Natale servono anche per dare un’occhiata globale alla produzione di un gruppo, per valutarne meglio (poichè raccolte tutte nello stesso album) le evoluzioni o involuzioni stilistiche.
Dopo tre album i Deathstars arrivano al traguardo del primo Best Of, e lo fanno in pompa magna, donandogli un titolo impegnativo e aggregandosi ai padri putativi Rammstein, anche loro in procinto di lanciare sulmercato un “Best”, per un tour nel 2012.
I nostri introducono nella scaletta dei brani anche due inediti, e le prime perplessità su questa release giungono proprio da qui. “Death is Wasted on The Dead” e “Metal” sono probabilmente due brani esclusi dalle precedenti uscite discografiche, banali e sottotono, che per nulla aiutano il giudizio globale del lavoro che abbiamo tra le mani e nelle orecchie.
Il resto invece è un ascolto decisamente migliore, ma calca ulteriormente la mano su quello che può essere considerato il peggior difetto del combo svedese: la ripetitività dei brani, encomiabili per quanto riguarda la coerenza ma che possono essere digeriti bene su brevi distanze, risultando un po’ monolitici in un album da 16 tracce.
Non che manchino i punti di interesse, anzi, il sound della band continua ad essere cocciuto e duro, infarcito com’è di sinth e di keys, a rendere sempre lugubre, post apocalittica la musicalità dei singoli brani, in cui voce del singer Andreas “Whiplasher Bernadotte” Bergh risulta essere caratteristica e catalizzante al tempo stesso delle sonorità dei Deathstars, con la sua autorevolezza glaciale e distaccata, ottimamente coaudivata da produzioni sempre all’altezza della situazione, in grado di aggiungere il coro femminile quà, la sirena d’allarme là, e abili a creare ulteriore fuligginosa atmosfera nera attorono alle songs.
La band, che ricordiamo annovera tra i suoi membri anche quel Emil Nödtveidt fratello di John, leader dei Dissection e morto suicida nel 2006, risulta sempre compatta nel creare un alone sinistro a metà tra il delirante postomoderno e il gotico ancestrale, in un intreccio di sensazioni forti, che esplodono nelle due vere hits della storia della band: “Cyanide” e la stupenda “Dead Dies Hard”, che da sole valgono un punto in più nel giudizio globale della raccolta, ma risultano al tempo stesso metro di paragone nei confronti delle altre song. Un paragone che diversi brani purtroppo non riescono a reggere.
I maligni insistono nel dire che questa uscita servisse più a giustificare il nuovo tour con i Rammstein, sfruttandone i preventivati sold out per un ulteriore push della band, piuttosto che reale piacere artistico dei membri della band nei confronti dei fans…Rammstein che non solo hanno influenzato ma sono addirittura parte della musica dei Deathstars, che in alcuni brani si lasciano andare a riff quasi da cover band (“Blitzkrieg”?). In realtà la raccolta ci può stare, anche perchè i nostri, volenti o meno, sono sulla cresta dell’onda da quasi 10 anni, ma i soli tre album a disposizione per scegliere le songs e l’eccessiva ripetitività delle stesse risultano infine un po’ pesanti, nonostante brani come “Blood Stains Blondes ” , con il suo inizio violento e straniante e il coro orecchiabile siano sempre un piacere per l’orecchio del metal-fans.
In definitiva, un lavoro senza infamia e senza lode, traguardo importante per una band che comunque continua a catalizzare su di sè le attenzioni del mondo musicale più oscuro, ma che certamente potrebbe fare un passo deciso in avanti a livello di popolarità se il suono si aprisse maggiormente alla sperimentazione. Dal punto di vista live e della personalità visiva ci siamo già, attendiamo con ansia il nuovo album di inediti.