Derek Sherinian è senz’altro uno dei tastieristi più “controversi” dell’universo Rock (visti i suoi trascorsi con Alice Cooper e Kiss, è impossibile relegarlo come semplice ex Dream Theater) poiché è mal sopportato da molti (vedi tutte le persone che hanno bollato Falling Into Infinity come un pessimo disco) e amato da pochi (vedi me).
Al di là di questa considerazione, credo che ben pochi possano dubitare il fatto che Derek dal momento in cui è uscito dai Dream Theater abbia azzeccato tutte le mosse che ha fatto: i quattro dischi con i Planet X, il primo disco solista (Inertia), il tour con Billy Idol.. Invece di segnare negativamente la sua carriera, credo che l’allontamamento dai Dream Theater abbia giovato al folle ed estroso tastierista californiano, che così ha potuto sfoggiare il suo stile personale, acido e jazzy senza alcun compromesso, avvalendosi dei più validi compagni che si possano trovare sulla faccia della terra (suonare con Virgil Donati, Simon Phillips, Steve Lukather, Al Di Meola e Billy Sheehan credo sia il sogno di ogni musicista..)!
“Black Utopia” è stato descritto da Derek stesso come il fratello ‘cattivo’ di “Inertia” per via delle sonorità più oscure e per via dell’esagerato riffing di Zakk Wylde (che spadroneggia in moltissime canzoni), che, unito al lavoro di Phillips, rappresenta le fondamenta su cui il disco si regge. Rispetto a “Inertia” però, ci troviamo un piccolo passetto indietro, per via della sensazione di ‘già sentito’ che pervade durante l’ascolto di alcuni brani! Nonostante questo però, non si puo’ rimanere indifferenti di fronte ad un esagerato Malmsteen (che non si sentiva suonare così da anni), che probabilmente è proprio l’arma in più di Sherinian (che in verità in questo disco suona senza particolari manie di protagonismo).
Non per nulla la traccia migliore dell’album è “Son Of Anus” che vede proprio Yngwie sfidarsi con la tastiera di Derek e il violino elettrico e distorto di Goodman (da brividi) in soli al fulmicotone, per non parlare delle parti di chitarra classica suonate da Al Di Meola (e qui si entra nella leggenda). C’è comunque da dire che nemmeno Steve Lukather sfigura, sfoggiando il suo estro specialmente su Stony Days e Sweet Lament, lunghissimo solo di chitarra su una base lenta e ricca di morbidi tappeti, in tipico stile Toto.
Forse il picco più alto il disco lo raggiunge con “Gipsy Moth”, breve (ahimè!) duetto da brividi tra la chitarra di Al Di Meola e il pianoforte di Sherinian! Per il resto il disco si mantiene su livelli più che buoni, ma senza stupire o annoiare..
Insomma non si raggiungono i fasti di Inertia o del primo, omonimo, Planet X (i due dischi più belli composti da Sherinian) ma ci troviamo di fronte a un disco piacevole, suonato con classe (sfido chiunque a dire il contrario) e con bravura, che vi terrà compagnia per molti ascolti!