Uno scenario monocromo animato da un intricarsi di scale dove uomini senza volto si inseguono in una serie di piani senza possibilità di contatto: questo è Serenity di Dodskammer. L’immagine di Escher scelta dal gruppo crea una puntuale rappresentazione visiva dell’allucinazione psichica in cui questa musica riesce a proiettare l’ascoltare. Sinfonie ripetute, graffiate da una produzione molto scarna, che si muovono a passo incerto, di preferenza lento e sospettoso, sono l’ossatura di questa folle melodia della “Camera della Morte”. Dalla prima canzone, “Fear”, si avverte il carattere intimo di questo lavoro dell’unico membro Dodskammer, trOn, che pare aver creato una trasposizione personale e sofferta di una condizione esistenziale caratterizzata da una difficoltà di vivere sotto la Luce: coerentemente a questo le note non potevano che essere pregne di angoscia. Solitamente la voce è roca e ruvida e segue il grigiore della musica di sottofondo, ma in brevi capitoli, come nel finale di “Lisergicpeace” e nella quarta “Serenity” diviene una voce alienata e atonica che ricorda le psichedelie vocali di Sephirot dei Deinonychus, in parti evocati (forse inconsciamete) anche nella marcia frenata di molti pezzi. L’episodio più vario e forse di più difficile penetrabilità, anche se comunque il più interessante, è la titletrack, che talvolta sembra giungere al limite della pazzia e della stonatura da quanto è fuori dai limiti dell’armonia, ma che proprio per la personalità che possiede sembra anche essere il punto saliente della confessione di questo artista, sicuramente non di facile comprensione ma che ha dimostrato coraggio nel presentare un lavoro così privato. Ed è proprio grazie a questa audacia di sperimentazione che trOn dimostra di toccare punti di genialità in ogni brano, dove c’è sempre qualche riff che riesce magicamente a ipnotizzare o qualche follia capace di stregare. Nella penultima prova si hanno anche accenni di elettronica che ben si adattano a questi brani lisergici e oppiacei. In conclusione è stata sparata a 200 battute per minuto la cover di “Hans siste vinter” di Panzerfaust dei Darkthrone, qua in forma futurista tanto da terminare in accelerazione un lavoro iniziato su tutt’altre andature (più vicine a certo black depressivo). Serenity è quindi un capitolo non di immediata lettura nonostante il carattere intuitivo con cui sembra esser nato, che richiederà diversi ascolti prima di esser penetrato, ma che potrebbe riservare una preziosa rivelazione. Cinque petali musicali di un Fiore Del Male affascinante e maledetto.